Unicredit, risultati record e futuro. M&A no, ma una via ci sarebbe…
Orcel ha più che triplicato il valore di Borsa di Piazza Gae Aulenti. Ma ora qualcuno gli chiede un passaggio ulteriore
Amministratore delegato di UniCredit
Unicredit, per l'M&A è quasi impossibile. La soluzione? Partnership con Unipol al posto di Allianz nell'assicurazione
Si continua a parlare convulsamente di risiko bancario, complice anche un mercato effervescente che oggi – grazie ai conti arrivati da Piazza Gae Aulenti – fa sfondare a Unicredit la valutazione di 50 miliardi, a meno di tre miliardi dalla rivale di sempre Intesa Sanpaolo. Ma la sensazione che arriva da ambienti di primissimo livello che Affaritaliani.it ha potuto consultare è che il momento non sia ancora maturo per l’inizio di una stagione di M&A. Tutti guardano a Unicredit, la quale però ha bisogno intanto di nominare il suo board – l’assemblea è fissata per metà aprile – prima di poter pensare a qualsiasi operazione. I nomi che girano però sono sempre gli stessi, e Affari può riportare alcuni rumor che si bisbigliano a Milano. Intendiamoci, si tratta di voci, nulla è ancora stato messo nero su bianco. Ma le suggestioni corrono.
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Partiamo dunque da Unicredit. È vero, come dice qualcuno, che Andrea Orcel è stato chiamato in Piazza Gae Aulenti per finalizzare acquisizioni? Non esattamente. Prima di tutto, il “Cristiano Ronaldo dei banchieri” è stato chiamato per ridare vigore a un titolo di Unicredit che era completamente deprezzato. Nel febbraio del 2021, poco prima del suo insediamento, le azioni valevano poco più di 8,5 euro. Oggi, complice una seduta da urlo, siamo a oltre 29 euro. Dunque, obiettivo più che centrato, sfruttando una serie di concause: il lavoro di snellimento – perfino eccessivo – fatto da Jean Pierre Mustier, i tassi alti di mercato e un’operazione di buyback che ha contribuito a rendere felici gli azionisti.
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Ovvio però che da un banchiere “muscolare” come Orcel ci si aspetti qualche operazione di M&A. Le voci che arrivano dalla Svizzera, che lo vorrebbero come possibile sostituto di Sergio Ermotti al timone di Ubs, sono tutte da verificare. Anche perché il gigante elvetico è inserito in tutti i gangli della vita economica e politica della Federazione. E non è così scontato che gli svizzeri accettino di consegnare le chiavi del Paese a un italo-inglese. Ed ecco la via – strettissima, ribadiamolo – che qualcuno inizia a tracciare. L’obiettivo non è Mps e non è neanche BancoBpm (che pure farebbe gola a condizioni che diremo dopo): l’idea è di usare la bancassicurazione come grimaldello per trovare una nuova preda. In particolare, si potrebbe pensare di sostituire come partner Allianz con Unipol. E, in cambio, ottenere il via libera per un’acquisizione di Bper. Questa operazione potrebbe funzionare per Unicredit: permetterebbe a Piazza Gae Aulenti di rafforzarsi al nord Italia, magari anche attraverso gli sporteli del Banco Popolare di Sondrio, in modo da poter competere con Intesa Sanpaolo per quanto concerne le dimensioni.
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Le alternative, nel caso in cui Unicredit non dovesse riuscire in quest’operazione, sarebbero ben poche. Monte dei Paschi? Chi, tra i soci che pure sono stati ampiamente remunerati in questi anni, non solleverebbe almeno un sopracciglio per dire che – insomma – perché non si è presa Siena quando portava una dote di un paio di miliardi e si è scelto di comprarla adesso che ne vale almeno quattro? E dunque, semaforo rosso. BancoBpm? Al momento costa troppo ma, come vedremo, ci sarebbe una remotissima possibilità. Gli altri istituti di credito rimasti sono un po’ poco appetitosi.
Guardando a Siena, tra l’altro, la sensazione è che la strada potrebbe essere quella di creare una vera e propria public company. Il governo potrebbe mettere in piedi un altro accelerated book building e vendere un altro pezzo dell’istituto senese, di cui ora detiene il 39,2%, scatenando gli appetiti di un mercato che, al momento, guarda con favore al lavoro di Luigi Lovaglio. Le alternative? Scartando, come detto, Unicredit, ci sarebbero Bper e BancoBpm. Ma entrambe hanno due ostacoli. Nel caso dell’istituto emiliano, non godrebbe – per usare un eufemismo, della benedizione del governo perché di orientamento politico sostanzialmente divergente. Nel caso del Banco, il preferito dell’esecutivo, ci sarebbe invece la paura che se procedesse all’acquisizione di Siena, indebolendo il titolo, si esporrebbe a un eventuale attacco da parte di Unicredit che potrebbe approfittare delle condizioni favorevoli. Per cui, tornando a Bper-Unicredit, questa operazione godrebbe anche dei favori di Banco Bpm, che potrebbe acquistare Mps con serenità senza più il timore di venire “aggredito” da Piazza Gae Aulenti.
E Intesa? Formalmente non avrebbe spazio per fare un’altra acquisizione in Italia, per motivi di concentrazione data la dimensione raggiunta nel nostro Paese. Ma è ovvio che se dovesse concretizzarsi la fusione tra Unicredit e Bper, anche in Ca’ De Sass si inizierebbe a pensare a una contromossa. Magari guardando proprio a Siena e sfruttando i buoni uffici di Carlo Messina con Palazzo Chigi. Per il momento sono solo suggestioni, dunque. Ma è ovvio che qualcosa si sta iniziando a muovere, anche se i tempi non saranno così brevi come ci si poteva aspettare. Anche perché le incertezze geopolitiche e macroeconomiche sono tantissime. Quello che è certo è che i tassi alti, che hanno irrobustito il patrimonio delle banche, non potranno durare in eterno.