Economia

Banche, la "febbre da risiko" è più bassa del previsto: ecco perché

di Marco Scotti

Le borse scommettono su una sessione di M&A che dovrebbe coinvolgere Unicredit, Mps, BancoBpm, Bper, Popolare di Sondrio, ma... L'analisi

Banche, la "febbre da risiko" è più bassa del previsto: ecco perché

Tanto tuonò che non piovve. Le borse continuano a scommettere su un’imminente sessione di M&A che dovrebbe, per forza di cose, coinvolgere Unicredit, Mps, BancoBpm, Bper, Popolare di Sondrio e chi più ne ha più ne metta. Una fibrillazione talmente forte da costringere il Mef a emettere una nota in cui comunicava di aver acceso un faro per vederci chiaro. Ma è davvero così? Davvero le banche sono tutte schierate ai blocchi di partenza pronte a un risiko che dovrebbe radicalmente ridurre il numero degli interlocutori?

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Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it non è esattamente così. Intanto, perché è un momento di grande incertezza. La Borsa è cresciuta in maniera esponenziale nel 2023, guidata proprio dalle banche che, grazie ai tassi alti, hanno beneficiato di risultati da record. È vero che con ogni probabilità il 2024 non sarà dissimile, ma lo è altrettanto che oggi gli istituti di credito hanno capitalizzazioni assai più elevate rispetto a quanto successo lo scorso anno. E dunque, per comprarle serve uno sforzo economico maggiore.

Di più: davvero gli azionisti, che grazie anche alle procedure di buyback stanno beneficiando di rendimenti “da urlo”, sarebbero disposti a vedere erose le loro sostanziose cedole per creare un “gigante” del mondo bancario? Qualcuno sostiene che Andrea Orcel, se – come appare scontato – verrà confermato per il secondo mandato, dovrà per forze di cose concentrarsi sul M&A. Ma la domanda è semplice: perché? Le banche oggi sono adeguatamente patrimonializzate, rispettano i parametri di Basilea e hanno riserve di capitale tra le più alte d’Europa. E dunque perché lanciarsi in una campagna di fusioni che, per forza di cose, costringerebbe a chiudere altri sportelli e a ridurre ulteriormente la popolazione dei lavoratori?

In ultimo: perché mai la forza e la consistenza di una banca si deve misurare soltanto nella misura in cui è in grado di acquistarne un’altra? E davvero sarebbe sensato scegliere tra manager di lungo corso per la guida di un colosso capace di competere con altri big europei? L’idea che servano campioni del credito da 100 miliardi e passa di capitalizzazione viene più che altro dalla paura che possa arrivare un’altra crisi come il 2008. Ma la condizione è assai diversa e l’industria degli Npl ha ridotto i rischi in maniera talmente massiccia che oggi non c’è poi molto da temere. E dunque, se la vera notizia fosse che non c’è nulla da raccontare?