La Volkswagen in crisi diventa il cavallo di Troia per le auto made in China

Pechino mira ad aggirare i dazi della Commissione europea acquistando siti produttivi nel Vecchio Continente. In primis quelli di Volkswagen. Ironicamente da sempre contraria ai dazi

di Federico Giuliani
Economia

La Volkswagen in crisi diventa il cavallo di Troia per le auto made in China

Bypassare i dazi imposti da Bruxelles, aumentare le vendite in un mercato strategico come quello europeo e, proprio dal cuore del continente, lanciare la sfida finale al dominio globale dei brand automobilistici occidentali. Sta lentamente prendendo forma il piano economico della Cina, desiderosa di spingere i suoi colossi delle quattro ruote a varcare i confini nazionali per essere riconosciuti a livello planetario. Un piano che adesso rischia persino di accelerare e concretizzarsi, complice la crisi economica che si è abbattuta sulla Germania, probabile nuovo Cavallo di Troia del Dragone in tema di business e affari.

Basta, infatti, dare un'occhiata a cosa sta accadendo in terra tedesca per capire quanto siano impellenti le mire cinesi sulla vecchia gioielleria delle quattro ruote di Berlino. Già, perché le case automobilistiche d'oltre Muraglia sono impegnate a fare il giro delle fabbriche più importanti della Germania, tra cui gli stabilimenti di Volkswagen di Osnabruck e Dresda. L'obiettivo finale del gigante asiatico? Acquistare i siti per produrre al loro interno veicoli elettrici (Ev) e aggirare così le tariffe che l'Ue ha recentemente posto sulle auto made in China.

Il futuro di Volkswagen, l'obiettivo della Cina

I riflettori sono puntati su Volkswagen, in crisi per la tempesta perfetta formata dal calo delle vendite dei suoi veicoli e dalla crescente concorrenza cinese degli Ev. Ebbene, secondo quanto riportato da Reuters, l'acquisto delle fabbriche del colosso tedesco consentirebbe alla Cina di esercitare ancora più influenza nell'ambito dell'industria automobilistica tedesca, patria di alcuni dei marchi automobilistici più antichi e prestigiosi del mondo. Volkswagen, che possiede Audi, Skoda e Porsche, sta infatti valutando la possibilità di chiudere tre dei suoi stabilimenti produttivi in patria, a seguito di una serie di misure di riduzione dei costi che hanno comportato tagli agli stipendi e il licenziamento di migliaia di dipendenti.

Il citato sito di Osnabrueck, che conta 2.300 dipendenti, potrebbe per esempio essere venduto al Dragone per una cifra fino a 300 milioni di euro. Ricordiamo che le aziende cinesi hanno investito in molteplici settori della Germania, la più grande economia d'Europa - dalle telecomunicazioni alla robotica - ma non hanno ancora, almeno per il momento, avviato nel Paese una produzione automobilistica tradizionale (nonostante Mercedes-Benz abbia due grandi azionisti cinesi).

Come la Cina sta cercando di aggirare i dazi europei

In attesa di capire che cosa succederà ai siti Volkswagen, svariate case automobilistiche cinesi stanno cercando sedi per piazzare i loro stabilimenti in Europa, il secondo mercato mondiale di veicoli elettrici, al fine di aggirare i dazi imposti dalla Commissione Europea. Qualche fumata bianca c'è già stata. BYD ha optato per la costruzione di fabbriche in Ungheria e Turchia. Leapmotor sta pianificando la produzione con Stellantis in Polonia mentre Chery Auto inizierà a produrre Ev, nel corso del 2025, in uno stabilimento in Spagna precedentemente di proprietà di Nissan. Alcuni emissari del leader cinese Xi Jinping avrebbero esaminato alcuni impianti, tra cui quello di Ford a Saarlouis e di Audi a Bruxelles.

Una minaccia per il Vecchio Continente e la Germania? Negativo, a giudicare da quanto dichiarato al Financial Times da Ola Kallenius, capo della Mercedes-Benz e presidente dell'associazione dell'industria automobilistica europea Acea, secondo cui l'Ue dovrebbe incoraggiare le case automobilistiche cinesi ad aprire più stabilimenti nel blocco.

Last but not least, vale la pena sottolineare che i brand tedeschi delle quattro ruote sono stati i più strenui oppositori delle misure protezionistiche europee, in parte per il timore di subire ritorsioni da parte di Pechino (la Cina rappresenta per loro un mercato strategico) e in parte a causa della crisi economica che sta avvolgendo il Paese. La Cina è sempre più vicina a Berlino (e non solo).

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