Biden, l'invito a Washington sblocca la diplomazia di Meloni tra Usa e Cina

La visita alla Casa Bianca stappa la strategia della premier, che subito dopo dovrebbe andare anche a Pechino. Obiettivo: salvare il rapporto con Xi

di Redazione Esteri
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Italia-Usa: la telefonata di Biden dà il via al risiko diplomatico di Meloni

Si è fatta attendere, ma alla fine la cornetta di Joe Biden si è alzata. E il numero composto era quello di Giorgia Meloni. Una telefonata che chiude i malumori delle ore precedenti, in cui il presidente americano si era confrontato con vari leader europei sulla rivolta in corso in Russia, ma non con la premier italiana. Alla fine, però, il colloquio c'è stato. Prassi diplomatica che porta però un altro "regalo" a lungo atteso da Palazzo Chigi: l'invito alla Casa Bianca. Un viaggio che sbloccherà tutta la diplomazia del governo di centrodestra.

Meloni sta aspettando da tempo la possibilità di visitare la Casa Bianca, nonostante il leader che vi siede in questo momento è su posizioni politiche molto diverse da quelle di Fratelli d'Italia. Ma quello che conta è il grande e più ampio gioco politico-strategico. E su quello, si sa, l'Italia punta tanto (o tutto) sugli Stati Uniti. Nella telefonata, i due leader hanno discusso del loro impegno a continuare a fornire assistenza all'Ucraina, a ritenere la Russia responsabile della sua aggressione, ad affrontare le sfide poste dalla Cina e a garantire risorse energetiche sostenibili e accessibili.

Ma la visita di Meloni negli Usa sarà fondamentale anche perché stapperà l'altro filone della sua strategia diplomatica: quello che riguarda la Cina. Entro la fine dell'anno, il governo italiano deve comunicare l'eventuale decisione di lasciare la Via della Seta cinese a Pechino. Il memorandum of understanding che ha segnato l'adesione nella Belt and Road Initiative è stato firmato nel marzo del 2019 dal governo gialloverde di Giuseppe Conte e scadrà il prossimo marzo. Entro 90 giorni prima bisogna però comunicare l'eventuale decisione di uscirne, altrimenti sarà silenzio assenso.

L'Italia ha preso la decisione da tempo: uscirà. Meloni lo ha ripetuto più volte durante la campagna elettorale, salvo poi assumere una linea più soffusa e moderata una volta diventata premier. Ma di fondo, la questione resta, così come restano le pressioni degli Stati Uniti. Abbastanza impensabile che l'Italia ospiti il G7 in Puglia l'anno prossimo facendo ancora parte del progetto cinese, unica del gruppo. Suo malgrado, dunque, l'Italia uscirà.

Il punto cruciale è come e quando comunicarlo. I dettagli possono determinare il livello di ritorsione cinese. Se la scelta fosse politicizzata eccessivamente, prevedibile che anche il malcontento di Pechino troverà modi più espliciti di manifestarsi. Se invece si riuscirà a comunicare la cosa senza caricarla di retorica e ideologia anti cinese, la crisi potrebbe essere contenuta. In questo senso, fondamentale dare l'annuncio o la comunicazione direttamente a Pechino.

Italia-Cina, la delicata partita sulla Via della Seta

Già aver evitato la buccia di banana del summit del G7 di Hiroshima è stato fondamentale, ora Meloni deve provare a resistere al pressing di Biden, sperando che il presidente americano non si prodighi in una delle sue proverbiali e sempre più ricorrenti gaffe. Annunciare la decisione dalla Casa Bianca sarebbe un affronto difficilmente accettabile da Pechino. 

Eppure, il passaggio alla Casa Bianca è ritenuto fondamentale. Per grammatica diplomatica, Meloni ha bisogno di visitare prima il principale alleato geopolitico americano e poi eventualmente recarsi in Cina, dove è stata invitata già lo scorso novembre da Xi Jinping durante il bilaterale di Bali, a margine del G20 in Indonesia.

Ecco allora che la visita negli Usa a luglio  dà finalmente la possibilità di programmare la successiva visita in Cina, sede in cui la premier potrebbe e dovrebbe comunicare l'uscita dalla Belt and Road cercando però il modo di mantenere rapporti positivi soprattutto sul fronte commerciale. Non a caso, a quanto risulta ad Affaritaliani, già entro l'estate (dunque entro luglio o al massimo a inizio settembre) si parla di importanti visite diplomatiche italiane in Cina. Forse un ministro, forse la stessa Meloni. 

Pechino ha ormai capito che il pressing esterno non consentirà il rinnovo dell'accordo sulla Via della Seta e sta cercando di reagire in due modi. Il primo: stimolare le esportazioni italiane in Cina per mostrare al governo che cosa rischia di perdere con l'uscita dall'accordo. Il secondo: immaginare metodi alternativi di cooperazione che possano contenere lo smacco politico-retorico dell'abbandono. 

In che modo? Partnership strategica e cooperazione su settori specifici può essere positivo anche per l'Italia, mentre presumibilmente la Cina chiederà qualche garanzia sul fronte politico, per evitare ad esempio colpi di testa sulla questione di Taiwan o altro. Anche se la sempre maggiore insistenza italiana sull'Indo-Pacifico non piace a Pechino. In questi giorni la nave italiana Morosini si trova in Giappone e da qui andrà in Corea del Sud, dopo mesi di navigazione sul Pacifico.

Nel 2024 una nave militare potrebbe per la prima volta transitare sullo Stretto di Taiwan. E Antonio Tajani ha elencato Cina e Indo-Pacifico tra le priorità del prossimo G7. Segnali di affidabilità rivolti agli Usa, ma che rischiano di complicare la delicata gestione dell'uscita dalla Via della Seta.

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