Cop27, fallimento annunciato. Ma la colpa non è solo di Cina e India
Pechino e soprattutto Nuova Delhi contro la linea occidentale: "Voi vi siete sviluppati con emissioni altissime, non possiamo pagare per tutti"
Cop27 in Egitto, che flop... Cina e India attaccano la linea occidentale
Diciamo la verità. Lo sapevano tutti che la Cop27 sarebbe stata un enorme fallimento. Già in tempi normali è quasi impossibile mettersi d'accordo sul clima, figurarsi dopo la guerra in Ucraina e i suoi efetti collaterali a partire dalla crisi energetica che affligge un po' tutti. E che dunque ha spinto a un ritorno all'utilizzo di fonti energetiche inquinanti. Si è però creata una retorica secondo la quale tutta la colpa dei mancati accordi e delle emissioni sia dei due giganti asiatici, Cina e India. Anche se la realtà dice cose forse un po' diverse.
A Sharm-el-Sheik, Egitto, non si sono presentati né Xi Jinping né Narendra Modi, cioè il presidente cinese e il primo ministro indiano. Sono gli unici due a mancare? Assolutamente no. Anzi, all'interno del G20 sono ben pochi i leader presenti. L'australiano Anthony Albanese salta l'incontro. Difendendo la sua decisione, ha detto ai giornalisti che "non può essere in tutti i posti contemporaneamente".
Il primo ministro canadese Justin Trudeau, che ha il peggior record di emissioni del G7, non è nella lista. Un portavoce del governo ha confermato che non andrà a Sharm el-Sheikh. Cat Abreu, attivista canadese per il clima e fondatrice di Destination Zero, ha dichiarato a Climate Home che i leader non dovrebbero "presentarsi negli spazi solo per poter dire di esserci", ma dovrebbero partecipare "per dare un contributo significativo all'avanzamento dell'azione sul cambiamento climatico".
Secondo il documento pubblicato martedì dall'ospite egiziano, Argentina, Giappone, Corea del Sud, Messico e Turchia non invieranno leader. L'Indonesia sarà rappresentata invece a livello di vicepresidenza, col presidente Joko Widodo impegnato negli ultimi preparativi per il G20 che ospiterà a Bali tra il 18 e il 19 novembre prossimi.
Le linee contrapposte sulle emissioni e le responsabilità
Ma non è solo sull'agenda degli invitati che la tesi secondo cui tutte le colpe delle emissioni siano di India e Cina. La maggior parte delle azioni globali ruota attorno agli sforzi per "mitigare" il cambiamento climatico riducendo il volume delle emissioni di carbonio. Poca attenzione viene prestata alla necessità di "adattamento" dei Paesi in via di sviluppo agli effetti del carbonio già presente nell'atmosfera. Leggendo la stampa indiana, per esempio, ecco un'altra prospettiva che conviene riportare: "Si sostiene che il cambiamento climatico è così reale e urgente che è necessario intraprendere azioni difficili e costose per la mitigazione, in modo da ridurre le emissioni. È giusto - ma che dire dei problemi reali e urgenti che le persone e le economie stanno subendo a causa di emissioni già avvenute? Queste emissioni non possono essere prevenute o mitigate. Le comunità hanno bisogno di sostegno per adattarsi ad esse. L'adattamento - compresa la contabilizzazione di "perdite e danni" per gli effetti complessivi del cambiamento climatico - deve essere al centro di tutti i negoziati sul clima", scrive il Times of India.
Difficile non ammettere in effetti che una relazione diretta tra il benessere generale e le emissioni di carbonio. Le traiettorie di crescita delle economie avanzate sono state raggiunte sfruttando alte emissioni. L'esaurimento dei beni atmosferici globali da parte del mondo sviluppato ha portato a eventi climatici estremi in tutto il pianeta. Il cambiamento climatico è già in atto a causa dell'industrializzazione in Europa e Nord America in passato, e in Cina più recentemente. I Paesi che hanno contribuito meno alle emissioni storiche globali - Paesi ancora in via di sviluppo e poveri - sono abbandonati a se stessi.
Ora però si chiede a chi sta crescendo in tempi più recenti, come India e Cina, o chi invece intravede ora la crescita come Indonesia e altri paesi emergenti, di interrompere la loro traiettoria in maniera subitanea. Peraltro accollandosi costi elevatissimi. I Paesi in via di sviluppo avranno bisogno di almeno 1.000 miliardi di dollari solo per le infrastrutture energetiche entro il 2030 e fino a 6.000 miliardi di dollari all'anno in tutti i settori entro il 2050 per mitigare i cambiamenti climatici. Inoltre, i costi annuali di adattamento al clima in queste economie potrebbero raggiungere i 300 miliardi di dollari entro il 2030 e fino a 500 miliardi di dollari entro il 2050.
India e Cina guidano il Sud globale anche sul clima
Inoltre, i Paesi in via di sviluppo dovranno probabilmente affrontare 290-580 miliardi di dollari di "danni residui" all'anno entro il 2030 e oltre 1.000 miliardi di dollari di danni entro il 2050 a causa dell'impatto dei cambiamenti climatici che non possono essere evitati con misure di adattamento. Dato che l'India è tra i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, l'adattamento ha chiaramente bisogno di maggiori risorse. "Ma non ci si può aspettare che paghiamo per il nostro futuro e che paghiamo anche per il passato dell'Europa e dell'America", dice Nuova Delhi.
Il problema è che senza dialogo e accordo, sul clima si può fare poco. Le prospettive non sono delle più rosee considerando anche che la CIna ha chiuso il dialogo con gli Usa sul tema climatico dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan. Anche sul clima il mondo si sta dividendo tra occidente e i suoi partner avanzati e il sud globale con Cina e India che potrebbero farsi da portavoce di istanze diverse.