Due popoli in due Stati: la ricetta impossibile del Medio Oriente

La guerra in Medio Oriente continua a mietere vittime e tutti sanno che quella soluzione tanto sbandierata, declamata, invocata altro non è che un miraggio...

di Daniele Marchetti
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Guerra in Israele
Esteri

Guerra in Medio Oriente, la ricetta impossibile tra Hamas e Israele 

Con l’atroce e vile attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre scorso e la durissima risposta del Governo Netanyahu, è nuovamente iniziata la litania sulla “miracolosa” soluzione dei due popoli in due stati. Come se il tempo non fosse trascorso, i conflitti non si fossero succeduti ed i piani di pace non fossero stati disconosciuti da ambo le parti.

Come se la soluzione alla “questione palestinese” (come veniva chiamata negli anni ’70) o alla “questione israelo-palestinese”, come viene attualmente definita, assumesse quasi i contorni -sia detto con rispetto- della banalità: una terra, due stati, due popoli.

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Eppure tutti sanno che quella soluzione tanto sbandierata, declamata, invocata altro non è che un miraggio; una ricetta impossibile almeno fino a quando una serie di elementi non troveranno una composizione a livello interno quanto a livello di area, nell’un campo come nell’altro.

Per ipotizzare una realistica prospettiva di convivenza pacifica per quello che più correttamente dovrebbe essere definito il “dramma mediorientale”, è -prima di tutto ed innanzi tutto- necessario togliere dal tavolo (ovvero risolvere) gli elementi di conclamata incompatibilità ad iniziare dal fronte geografico, da quella che potremmo definire “la questione islamica”, dalle cause di diffidenza ed infine dalla questione delle questioni: Gerusalemme.

Per la sicurezza di Israele la fascia di Gaza, inserita nel corpo vivo di Israele con l’accesso diretto al mare e la “scappatoia” di Raffa verso il Sinai e l’Egitto, è un pericolo strutturale ed una minaccia costante, incompatibile per sua natura con una buona convivenza. Scenario identico, sul fronte opposto, con le colonie ebraiche in Cisgiordania ed a Gerusalemme est che rappresentano una “sfida”, se non un vero e proprio ostacolo, alla fondazione dello stato palestinese. Dunque per immaginare qualsiasi possibile convivenza, questi due elementi di strutturale argine alla pace devono essere eliminati (Gaza dovrebbe tornare sotto il controllo israeliano ed i coloni lasciare la terra palestinese).

Come dovrebbe essere affrontata e risolta la questione islamica. Senza una composizione della diatriba sciita-sunnita in terre separate ed affidate al governo di entità diverse la pace non sarà mai possibile. Hamas, nata nel 1987 come ala sunnita per la liberazione della Palestina e finanziata da Libano e Iran, è sempre stata -prima di tutto- un problema per i palestinesi: sia per l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) sotto la reggenza di Yasser Arafat che adesso per l’Autorità Nazionale Palestinese (nata a seguito degli accordi di Olso) a guida Abu Mazen leader di Fatah.

Infine la diffidenza reciproca e la questione di Gerusalemme. La geo-strategicità di Israele come presidio USA nell’intero Medio Oriente che la rende vaso di ferro in mezzo a vasi di coccio è indubbiamente un elemento di “disturbo” alle speranze di pace come dimostrano le minacce dell’Iran di queste ore. Per quanto riguarda, poi, l’annosa questione di Gerusalemme che forse gli accordi di Oslo hanno, se possibile, aggravato, a tutela di tutte le espressioni religiose dovrebbe essere assunta come “patrimonio morale dell’Umanità” e, da “Città Santa”, divenire un autonomo e neutrale protettorato ONU.

Non Basta! Sanare queste ferite è il viatico necessario ma non sufficiente alla pace. Serve anche una prospettiva di futuro, di sviluppo economico e culturale per l’intera area mediorientale. Prospettiva che potrebbe essere offerta e garantita da una confederazione del Medio Oriente mediterraneo (Stato Palestinese-Cisgiordania, Israele, Libano, Giordania, Cipro ecc.) secondo lo spirito cooperativo, di reciproco riconoscimento, e collaborativo degli “Accordi di Abramo” (profeta venerato tanto dalla religione ebraica quanto dall’Islam e dalla cristianità).

Una confederazione aperta al progresso di tutto il Medio Oriente oggi caratterizzato da diseguaglianze sociali, culturali, politiche ed economiche immense: humus perfetto per il proliferare del radicalismo e del terrorismo politico-religioso.