G20, disgelo tra occidente e Asia: Putin più isolato, ma Xi non lo scaricherà

Pechino abbandona la postura aggressiva e si mostra disponibile al dialogo. Anche con Meloni. Ma le formule di Bali consentono a Xi di non mollare Mosca

Esteri

G20, vincono sia Biden sia Xi Jinping: il primo ricompatta l'occidente, il secondo avvia il disgelo

Tutti insieme appassionatamente. Il summit del G20 di Bali, che si preannunciava come uno dei più tesi di sempre, si è rivelato meno spigoloso del previsto. Vince Joe Biden, che ricompatta il fronte occidentale e compie passi avanti di disgelo verso la Cina, vince Xi Jinping che si riavvia la diplomazia cinese mostrandosi più accomodante di quanto pensava qualcuno. Complice l'assenza del grande convitato di pietra, Vladimir Putin, sorrisi e pacchi sulle spalle si sono sprecati. Tanto che a concludere la due giorni indonesiana è stato persino il summit tra Giorgia Meloni e Xi Jinping. Imprevisto dopo che in campagna elettorale (ma anche prima, molto prima e sin dal 2008 con le proposte di boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino per la questione del Tibet), Meloni si era mostrata molto drastica nella sua linea sulla Cina. Tra la promessa (reiterata peraltro anche a Joe Biden) di revisionare l'accordo sulla Via della Seta all'incontro con il rappresentante di Taipei in Italia, fino poi al "flirt" su Twitter col Dalai Lama.

Insomma, gli argomenti per uno scontro diplomatico sembravano esserci tutti, tanto che da parte cinese erano tardati gli auguri e le congratulazioni per la nomina a primo ministro. E invece, Meloni dà un colpo di coda e incontra Xi al tramonto del summit. Auspica un aumento dell'interscambio commerciale, allo scopo di dare impulso alle esportazioni italiane, condivide la necessità di compiere passi diplomatici per impedire una ulteriore escalation in Ucraina. E, soprattutto, accetta l'invito di Xi a visitarlo a Pechino.

Forse è proprio questo uno dei simboli del clima del G20 di Bali, dove uno Xi Jinping ulteriormente rafforzato dal conferimento del terzo mandato da segretario generale del Partito comunista cinese e avvantaggiato dall'assenza del presunto "amico senza limiti" del Cremlino ha potuto muoversi a suo piacimento. E ha scelto di mostrare un volto più accomodante rispetto al recente passato. Ha riavviato il dialogo con gli Usa incontrando a sorriso smagliante Joe Biden, ma ha anche parlamentato con l'australiano Antony Albanese, il sudcoreano Yoon Suk-yeol, Emmanuel Macron, Pedro Sanchez e Mark Rutte.

Quest'ultimo un passaggio sottovalutato ma invece fondamentale per Pechino in ottica semiconduttori, visto che l'olandese ASML detiene un vero e proprio monopolio sulla litografia ultravioletta, uno degli step cruciali della produzione di microchip. Settore nel quale Biden sta stringendo tantissimo sulla Cina, che prova a mantenere aperto il canale coi Paesi Bassi.

Richard McGregor, senior fellow per l’Asia orientale presso il Lowy Institute ha commentato che “il cambio di tono” della politica estera cinese “è evidente”. Ma secondo l’esperto, sarebbe fuorviante pensare che si stia entrando in un’era di stabilità diplomatica. Piuttosto, “c’è uno sforzo per raggiungere una sorta di equilibrio”. Gli Stati Uniti ne sono consapevoli e difficilmente lasceranno i loro piani di rafforzamento delle partnership nella regione dell’Indo-Pacifico.

G20, attenzione a pensare che la Cina scaricherà la Russia: non è così

Anche da qui passa l'approvazione del comunicato finale dove è stata inserita la seguente formula: la "maggior parte" dei Paesi membri del G20 ha "condannato con forza la guerra in Ucraina" e tutti hanno convenuto che il conflitto "mina l'economia globale". Una formulazione abbastanza flessibile, che consente alla Cina (ma anche all'India e al Brasile) di mostrarsi volenterosi nel fare un passo nella direzione dell'occidente, ma anche dall'altro lato permette di non tagliare del tutto i ponti con Mosca. Sì, perché non si usa la parola "invasione" e perché se ne criticano gli effetti, non chi l'ha condotta. Questo significa che Pechino potrà continuare a modulare la sua retorica, addossando come fatto finora soprattutto su Stati Uniti e Nato la responsabilità della guerra.

Il presidente Xi Jinping ha attribuito la colpa della crisi globale di cibo ed energia a un “disturbo della cooperazione”. Ha affermato nel suo discorso di apertura del vertice del G20 di Bali fame ed energia delle sfide “più urgenti” del nostro tempo. “L’origine della crisi attuale non è la produzione e la domanda” ha dichiarato “ma un problema di catena di approvvigionamento”. Il leader cinese si è poi rivolto ai paesi ricchi, chiedendo loro di contenere l’aumento dei tassi di interesse che ricade sulle economie più deboli, già vessate dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia aggravato dall’invasione russa in Ucraina. 

Che sia una velata critica contro la Russia? In parte. Questo tuttavia non cambia la visione strategica di lungo periodo, ancora in linea con quella di Putin. Parlando con l’omologo russo Sergei Lavrorv, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha lodato la “razionalità e disponibilità” di Mosca dopo la parziale inversione a U sul possibile utilizzo di mezzi nucleari. Anche perché per Pechino mollare completamente Putin non è strategico. Avrebbe poco da guadagnare, visto che sa benissimo di essere nel mirino (e che probabilmente ci resterà a lungo) di Washington. Ma intanto, da Bali (complice forse anche la location balneare), è arrivato un parziale disgelo. Di questi tempi è già più di qualcosa.

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