Guerra commerciale tra Occidente e Cina. Con Biden tensione come con Trump

La guerra economica tra Occidente e Cina nelle preoccupazioni del primo ministro Li Qiang, nel discorso iniziale della kermesse della "Davos estiva" a Tianjin

di Antonio Amorosi
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La strada per i semiconduttori è lastricata di conflitti. Ecco perché Taiwan è fondamentale per l’Occidente che vuole rendersi sempre più indipendente dalla Cina

La guerra vera con la Cina è iniziata con Donald Trump, un evento senza precedenti per potenza e intensità nella storia americana e che Joe Biden ha lasciato intatta mantenendo le medesime condizioni.

Un conflitto commerciale diventato virulento nel 2018 quando The Donald, per rendere più convenienti le produzioni nazionali USA ha imposto dazi su 350 miliardi di dollari di beni e servizi provenienti dalla Cina, pari al 17% delle importazioni americane, inducendo la Repubblica Popolare Cinese a reagire con altrettanti dazi sui beni USA per 100 miliardi di dollari, pari al 9% delle esportazioni americane. Una strategia che ha spostato l’asse strategico occidentale e condizionato le scelte di molti Paesi finiti con maggior forza sotto l’influenza degli USA a trazione trumpiana.

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Conflitto chiusosi con una parentesi nel 2020. In precedenza Trump aveva anche firmato un provvedimento legislativo a sostegno dei manifestanti pro democrazia di Hong Kong, spina nel fianco cinese. Da qui diverse teorie del complotto sul Covid, quale operazione maldestra di alcuni apparati cinesi per indebolire il dominio trumpiano sull’Occidente.

Martedì scorso, all’apertura del "Davos estivo" del World Economic Forum a Tianjin il primo ministro della Repubblica Popolare Cinese, Li Qiang, nel discorso iniziale della kermesse ha criticato la strategia di "alcuni in Occidente che stanno esaltando le cosiddette fraseologie di riduzione delle dipendenze e del rischio". I Paesi Occidentali starebbero perseguendo una loro idea di riduzione della dipendenza dalla Cina. “Una scelta”, per Li Qiang, “forzata, perché i Paesi sono interconnessi” e gli Stati e i governi non dovrebbero  decidere sulle scelte delle imprese private.

"Sono le imprese le più sensibili e si trovano nella posizione migliore per valutare tali rischi”, ha detto Li Qiang, “dovrebbero essere lasciate alle proprie conclusioni e fare la propria scelta". Proprio come fa la Cina, verrebbe da dire. Nel tempo ne abbiamo avuti molti esempi, del controllo che il governo di Pechino esercita sulle imprese private cinesi. E lo abbiamo visto anche ad Hong Kong. Dopo mesi e mesi di scontri e manifestazioni, per le scelte liberticide del governo cinese, ben 113.200 persone hanno lasciato la città nel 2021.

Cos'è il derisking?

La parola riduzione del rischio è apparsa per la prima volta in un discorso del marzo scorso della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Significa ridurre qualsiasi forma di vulnerabilità economica di un Paese senza danneggiarne il commercio o gli investimenti. E vista la dipendenza dell’Occidente dalla Cina è inevitabile parlare proprio di Pechino.

Il gioco tra Occidente e Cina si sviluppa principalmente sui campi delle esportazioni manifatturiere di massa che includono i semiconduttori, i motori, le parti di aeromobili e i ricambi di automobili.

I semiconduttori sono quei microchip che permettono il funzionamento delle nostre principali tecnologie, dai televisori agli smartphone, dalle auto ai frigoriferi fino agli aerei per non parlare di tecnologie più complesse.

In una nota informativa la banca di Affari JP Morgan ha spiegato di recente che "secondo la Semiconductor Industry Association, circa il 75% della capacità produttiva globale di semiconduttori è concentrata in Cina e nell'Asia orientale, mentre il 100% della capacità produttiva avanzata di semiconduttori si trova a Taiwan (92%) e nella Corea del Sud (8%)". In pratica i semiconduttori più avanzati al mondo sono prodotti a Taiwan, Stato indipendente dalla Cina comunista, e costantemente minacciata di attacchi da Pechino. Qualsiasi interruzione si creasse a Taiwan, ventunesima economia al mondo, potrebbe mettere in ginocchio la catena di fornitura dei semiconduttori del mondo.

La Cina è sulla buona strada per raggiungere l'obiettivo del 5% per la crescita economica nel 2023 fissato da Pechino all'inizio di quest'anno ha spiegato il governo ma il problema resta.

In risposta alle accese critiche cinesi sembrano valere le parole pronunciato la scorsa settimana proprio a Pechino dal segretario di Stato USA Antony Blinken che ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti non stavano cercando il "contenimento economico" della Cina. "Ma allo stesso tempo", ha detto Blinken, "non è nel nostro interesse fornire alla Cina tecnologia che potrebbe essere usata contro di noi".

 

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