Guerra, dalla parte di Israele o Hamas? Le due linee d'azione parallele

Di fronte al conflitto tra Israele e Hamas si sono manifestati due atteggiamenti e due associate linee d'azione: facciamo il punto

di Giacomo Costa
Gaza
Esteri

Guerra tra Israele e Gaza, da una parte l'orrore dei terroristi dall'altra il piano di azione di Bibi: analisi 

Chiaramente, di fronte all’eruzione del conflitto tra queste due entità, Israele e Hamas, ciascuna singolare all’interno del suo tipo, si sono manifestati due atteggiamenti e due associate linee di azione. Ciascuna ammette alcune varianti anche notevoli, ma l’identità, la coerenza interna della due resta in ogni caso distinguibile. La prima constata con smarrimento, orrore, indignazione l’enormità del male commesso dai terroristi di Hamas, uguagliato solo dalle persecuzioni naziste contro gli ebrei negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso.

Non si provi a giustificare questi atroci delitti con i patimenti che gli israeliani infliggono da più di mezzo secolo ai palestinesi! Naturalmente si potrebbe tentare di far osservare che spiegare con lo stato di paria in cui sono tenuti palestinesi il formarsi di un gruppo terroristico non significa affatto giustificare le atrocità commesse il 7 Ottobre.

Ma questa osservazione non chiarisce, non illumina, anzi, infastidisce offende e indigna. L’ordine ontologico dei crimini commessi dai terroristi di Hamas è infinitamente maggiore delle suppose vessazioni subite dai palestinesi. I terroristi di Hamas si sono inoltrati in un’impresa aberrante, l’uscita dall’umanità. Si sono ridotti a bestie, anzi peggio. Il nostro compito di partecipi astanti sarebbe di condolerci, lasciarci attraversare dall’enormità del male, ed eventualmente trattenerne l’idea dentro di noi, ma con nessun fine pratico: lasciarci trasformare in statue di sale.

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Eppure lo stato d’animo descritto ha spesso delle conclusioni pratiche ben definite, quelle indicate dal Premier israeliano e il Presidente americano. Le azioni di Hamas sono state spaventosamente malefiche, e malvagi oltre ogni limite sono quelli che le hanno compiute, i membri di Hamas. Vanno sterminati annientati o con linguaggio più cauto “neutralizzati”. Ma Benjamin Netanyahu non è cauto: “Ogni membro di Hamas è un uomo morto”, ha annunciato. Ne segue ovviamente che con loro non si può trattare. Prima si rimuoveranno dall’esistenza con una serie di operazioni chirurgiche: bombardandoli, lanciandogli migliaia di missili al giorno, se necessario cercandoli e ammazzandoli uno a uno nelle gallerie sotterranee dove vilmente si nascondono. Se nel corso di questo processo si riuscisse anche a sbarazzarsi facendoli fuggire nel Sinai dei due milioni di palestinesi concentrati a Gaza, allora la rielezione di Bibi per un altro decennio e più sarebbe assicurata.

Sarebbe davvero un colpo da maestro, e non è escluso che Bibi ci stia già lavorando, anche se sembra che l’Egitto non ne voglia sapere. In ogni caso, parlare del futuro di Israele e della Palestina sarà possibile solo dopo lo sterminio o annientamento (un termine heideggeriano!) di Hamas. Come Biden si differenzia da Bibi? Biden sostiene che bisogna distinguere tra Hamas e i palestinesi: Hamas non li rappresenterebbe.

Ma Hamas li rappresenta molto di più dell’Autorità Nazionale Palestinese insediata in Cisgiordania, fortemente indebolita dal fatto di collaborare con la polizia israeliana, e ancor di più dal fatto di aver firmato gli Accordi di Oslo, che gli israeliani hanno violato sin dall’inizio sistematicamente incoraggiando e difendendo le occupazioni dei loro “coloni”. Bibi sarà occupatissimo per qualche tempo ad attendere ai suoi massacri. Biden negozierà (o sta già negoziando) con Hamas ricorrendo a degli intermediari. Ma naturalmente le condizioni del negoziato non saranno indipendenti da come Israele e gli Usa gestiscono la fase dell’ “eliminazione” di Hamas. Se con l’efferatezza che Bibi promette, non potrà esserci nessun negoziato, neanche segreto.

Coloro che optano per la seconda linea osano sostenere che per quanto gli intermediari possano in una prima fase essere utilissimi, bisognerà prima o poi trattare anche con Hamas, perché è al momento più non meno rappresentativo dell’OLP e degli altri gruppi che sostengono l’Autorità Nazionale Palestinese. Da molto tempo alcuni Stati con maggiore o minor successo distinguono tra Hamas come movimento sociale e partito politico e la sua frangia terroristica. Se non accetta di trattare Hamas dovrà continuare a fare attentati, a fare e far subire al suo popolo altri massacri.

Potrebbe invece continuare a governare come ha fatto a Gaza, magari in modo un po’ meno autocratico. Non si può escludere che accetti. Alcuni oggetti della trattativa sono ovvi: la liberazione degli ostaggi, lo scambio dei prigionieri. Le altre questioni sarebbero rifondative, o fondative, e i negoziati dovrebbero comprendere anche l’ONU e l’OLP, che potrebbe uscire revitalizzato da questa svolta: dopo tutto la via dei negoziati e la soluzione dei due stati l’ha aperta l’OLP. I coloni dovrebbero sgombrare la Cisgiordania, o almeno le abitazioni e terre ottenute con la violenza l’inganno e la frode, Israele dovrebbe rinunciare alla pretesa di fare di Gerusalemme Est la sua capitale e lasciarla al nuovo Stato Palestinese.

Mario Giro, valente politologo ed esperto di affari internazionali, ritiene che 1) la trattativa sia necessaria, ma 2) debba essere posta ad Hamas preliminarmente la condizione ineludibile del riconoscimento dello Stato di Israele. Questo ci riporta agli accordi di Oslo, dove a negoziare per i palestinesi era l’OLP. In quel caso il riconoscimento di Israele, che Hamas subito attaccò, fu uno degli oggetti dell’accordo, non una condizione per iniziare la trattativa. L’OLP potrebbe aver bisogno di un nuovo leader, e, ci ricorda giustamente Mario Giro, ne ha uno universalmente stimato, anche da Hamas: Marwan Barghouti, che è “l’unico che ha la reputazione giusta per guidare un governo di unità nazionale: una persona molto dura, molto severa, …, che però è laico e non ideologicamente estremista.” Potrebbe essere il Nelson Mandela dei palestinesi. Infatti, è in carcere in Israele da tempo, condannato a cinque ergastoli.

Infine, vediamo come l’Ue ha affrontato il problema del conflitto improvviso e terribile. Non ha scelto una delle due linee, perché si è mantenuta troppo estranea ai fatti. La von der Leyen nelle sue prime dichiarazioni e durante la sua pronta visita a Tel Aviv, che nessuno le aveva chiesto di intraprendere, è sembrata aderire spensieratamente e pienamente alle posizioni e intenzioni stragiste di Netanyahu. Tanto che numerosi eurodeputati hanno immediatamente protestato rimproverandola di aver parlato a titolo personale e non come portatrice della linea europea. Josep Borrell, l’incaricato ufficiale della politica estera della Ue, è stato invece per fortuna autore di alcuni interventi molto dignitosi. Ne ricorderò due di particolarmente significativi. Il primo è del 14 Ottobre (un giorno dopo le effusioni della von der Leyen a Tel Aviv.), “Il piano di Israele di evacuazione di oltre un milione di persone dal nord di Gaza in un solo giorno è assolutamente impossibile da attuare, perché immaginare di poter spostare un milione di persone in 24 ore in una situazione come quella di Gaza può essere solo una crisi umanitaria da evitare".

Ci deve essere stato successivamente un colloquio suppongo burrascoso tra lui e la von der Leyen, perché il 17 Ottobre Borrell è ritornato alla carica: "La posizione dell’Unione europea nel conflitto israeliano è chiara: Israele ha il diritto di difendersi, ma questa difesa deve avvenire nel rispetto delle leggi internazionali e, in particolare, delle leggi umanitarie, perché anche la guerra ha le sue leggi.” Questa posizione è stata fatta propria con sorprendente disinvoltura dalla von der Leyen in alcune dichiarazioni del 18 Ottobre.

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