Israele e Palestina: le elezioni mancate e la frattura interna all’Islam

Nell’Islam di Palestina la frattura è quantomai evidente. Quello maggioritario, evidentemente, non vuole la guerra

di Angelo Lucarella
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Israele e Palestina: le elezioni mancate e la frattura interna all’Islam

Leggendo la raccomandazione del Parlamento Europeo del 12 luglio 2023 riguardo alle relazioni con l’Autorità Palestinese, si può notare come la stessa Hamas, insieme ad altre tredici fazioni (anche Al-Fatah), dopo più di 15 anni di gelo, avevano sottoscritto un “accordo di riconciliazione” ad Algeri per condurre Gaza e altri territori palestinesi verso elezioni democratiche.

Cosa che, nello stesso tempo, ha radicato il riconoscimento dello Stato di Israele (diversamente non avrebbe avuto senso l’accordo di Algeri) per la stessa Hamas la quale avrebbe come obiettivo quello di veder scomparire dalle cartine geografiche il Paese nato sulla storia di Giacobbe.

Ciononostante, nel gennaio 2023 l’Autorità palestinese ha interrotto la cooperazione con Israele in una serie di settori tra cui (il più importante) quello della sicurezza.

Due questioni, quest’ultime, che traducono come la strategia di Hamas ha giocato e gioca su due fronti: da una parte (interna) dimostrare alla popolazione di Gaza la propria democraticità, dall’altra parte (esterna) consolidare l’antagonismo verso Israele per porsi, agli occhi dei seguaci e non, come unico argine alla presunta occupazione del mondo ebraico di quei territori rivendicati in nome di una storia non attuale.

D’altronde, il problema di fondo della Palestina non è sul fatto di essere nazione, ma di essere Stato.

C’è una netta differenza tra le due cose tanto che la comunità internazionale e l’Unione Europea, hanno più volte rappresentato all’Autorità palestinese che la Palestina stessa per diventare Stato, riconosciuto nell’ambito sovranazionale, avrebbe dovuto dimostrare di garantire diritti umani e processi democratici interni conducendo i radicalismi e fanatismi interni a disconoscere l’idea di annientamento di Israele.

Cose non garantite dalla leadership palestinese a tal punto che l’Autorità presieduta da Abbas (Abu Mazen per intenderci) ha interrotto le relazioni con Israele sul piano della sicurezza e concentrando il potere giudiziario spogliandolo di indipendenza.

Ovviamente l’operazione di accentramento, letta sotto altri aspetti, è servita ad Abu Mazen per comunicare, indirettamente, ad Hamas e Company che non si è ancora pronti per la nascita dello Stato di Palestina.

Messaggio che, per altre vie, avrebbe portato le organizzazioni terroristiche (7 delle 21 al mondo di matrice palestinese peraltro) a chiedere sostegno e aiuto sottotraccia ad Iran, Siria, ecc. per la delegittimazione di fatto nel popolo palestinese della guida Abbas in favore di una accelerazione significativa del processo di nascita non più di uno stato laico, ma puramente islamista. Lavoro a cui Hamas è dedito e che, tramite gli ultimi attentanti, ha manifestato pensando che l’opinione pubblica israeliana si sfiduciasse concedendo totalmente, dopo gli accordi Oslo, tutti i territori per cui è ritenuta “occupante”.

Invece c’è stato l’effetto contrario: Israele si è compattata e Hamas rischia di rimanere l’unico colpevole del crollo del sogno palestinese che, seppure con grandi limiti di leadership di Abu Mazen, sembrava sulla strada giusta fino al momento prima dell’accordo di Algeri.

Il vero carnefice dei palestinesi, quindi, è il terrorismo.

Ed Abu Mazen, per una serie di coincidenze e circostanze, rischia di diventare un monarca implicito che attende di vedere sconfitti i suoi nemici interni alla questione palestinese.

Un po' grazie ad Israele, un po' grazie all’estremismo di Hamas.  

Nell’Islam di Palestina la frattura è quantomai evidente. Quello maggioritario, evidentemente, non vuole la guerra.

Arafat, nel frattempo, osserva impotente.

 

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