Meloni al G20: più gas da Biden e apertura sui migranti da Erdogan

L'Italia si sta ritagliando un nuovo ruolo di peso nello scacchiere internazionale, approfittando delle debolezze di Scholz e Macron

di Vincenzo Caccioppoli
Giorgia Meloni
Esteri

Migranti, energia e commercio internazionale: l'Italia cambia passo

 

Giorgia Meloni è partita per il G20 di Bali investita dalle polemiche della querelle aperta dalla Francia sulla questione della Ocean Viking. Ma senza dubbio nella bella isola indonesiana gli echi di tutto ciò sono sembrati lontanissimi, per l’unica donna premier presente al vertice (come ha voluto signorilmente sottolineare il presidente americano Biden) che ha portato con sé, oltre alla figlia Ginevra, il suo fedelissimo sottosegretario Giovan Battista Fazzolari, da molti ritenuto come il più importante consigliere della premier in politica estera.

È stato lui, infatti, il primo a puntare sulla scelta di appoggiare senza remore la posizione di ferma condanna dell’invasione russa all’Ucraina, all’indomani dello scoppio del conflitto, e proseguire convintamente su quel solco atlantista che da sempre contraddistingue la politica di Fratelli d’Italia.

Questo ha permesso al partito della Meloni di essere, agli occhi della comunità internazionale (Usa in testa, chiaramente) in una posizione certamente avvantaggiata, rispetto alle troppe titubanze da parte degli alleati Lega e Forza Italia.

Il bilaterale che la Meloni ha ottenuto con Joe Biden (che si è protratto oltre il tempo prestabilito e che non ha avuto bisogno di interpreti, visto l’ottimo inglese parlato dalla premier italiana) è stata l’occasione per consolidare il rapporto tra i due paesi, arrivando ad una importante concessione da parte degli Usa, che nessuno in Europa ha per il momento ancora ottenuto: avere un concreto aiuto sul fronte energetico, priorità assoluta del governo italiano in questo momento.

Certamente a sinistra qualcuno avrà di che piangersi addosso, vedendo come la leader di Fdi sia riuscita in poche settimane dove molti premier del passato hanno invece fallito. Altro che pericolo di isolamento in Europa, come per tutta la campagna elettorale Letta & Company hanno voluto far credere agli elettori.

Negli Stati Uniti, da tempo, la Meloni è riuscita a costruirsi un'immagine forte ed autorevole, non solo tra il partito dell’elefantino, ma anche tra alcuni esponenti democratici, come gli incontri post voto tenuti dall’attuale ministro delle imprese e del made in Italy a Washington, Adolfo Urso, hanno ampiamente dimostrato.

Ma dopo aver ottenuto questo importante risultato con l’uomo più potente del mondo, dal quale ha anche strappato la promessa di una prossima ravvicinata visita di stato a Washington, la presidente del Consiglio si è seduta intorno al tavolo con il leader turco, Recep Erdogan.

Con il presidente turco la Meloni ha affrontato da subito non solo la questione dei migranti e della delicata situazione in Libia (secondo fonti qualificate presenti al vertice, Erdogan avrebbe mostrato ampia disponibilità al dialogo sia sul tema migranti e sia su quello della Libia, che rimane comunque ancora un fronte caldo aperto con la Francia di Macron), ma anche sulla questione del grano ucraino.

È chiaro che Erdogan, attualmente nella sua posizione di forza relativa che ha assunto nei confronti dell’Europa sullo scacchiere mediorientale, potrebbe guardare con interesse a chi come la Meloni appare avere idee simili sul contrasto all'immigrazione irregolare e apparire come un volto nuovo ed interessante nel panorama politico europeo, con cui inutile girarci intorno, Erdogan non ha mai avutoun grande appeal.

Il fatto che il nostro paese negli ultimi anni abbia certamente perso influenza sul Maghreb, lasciando spazio proprio a chi, come Erdogan, è stato invece astuto nello sfruttare le debolezze di un'Europa troppo divisa e indecisa in politica estera, potrebbe rappresentare un nuovo importante punto fermo da cui partire nella  politica estera del governo in quella delicata zona geografica.

E per fare tutto ciò occorre certamente aprire un dialogo con il premier turco, che potrebbe anche essere fondamentale per il dialogo con il terzo grande leader che la Meloni incontrerà in questa densissima quattro giorni di Bali, Xi JinPing, con cui negli ultimi anni l’Italia ha assunto un atteggiamento spesso ondivago.

Meloni ha fatto intendere a Biden che non si ripeteranno certo gli errori del passato commessi dal governo gialloverde di puntare sugli accordi della via della seta, sviando dal binario dell’atlantismo, ma nello stesso tempo ha ribadito il ruolo centrale dal punto di vista commerciale che il paese ha per l’Europa e l’Italia.

Giorgia Meloni sa bene che con la Cina il nostro paese ha perso molti punti a scapito della Germania della Merkel, che non ha mai fatto mistero di difendere questo rapporto privilegiato, anche a costo di creare qualche screzio ed imbarazzo con il tradizionale e storico alleato americano, ma proprio l’autorevolezza e la leadership della Merkel hanno sempre permesso un giusto compromesso, che sta venendo sempre meno ora con il goffo cancelliere Olaf Scholz.

Proprio il fatto che la Meloni in Europa sia per il suo ruolo di presidente dell'importante gruppo dei conservatori europei, rafforzato dal peso della premiership e dal suo grande consenso in patria, con gli importanti riconoscimenti internazionali ricevuti (durante il G20 ha avuto bilaterali con il Canada, l’Australia e l’India) possa di conseguenza assumere un ruolo di rilievo in un'Europa mai come ora indebolita e divisa, abbia contribuito non poco ad accrescere quel clima di tensione con Macron e la Francia.

Da questo G20 insomma la posizione della Meloni e quindi del nostro paese non può che uscirne rafforzata e non è certo fantapolitica pensare ad un premier italiano che possa assumere una forte leadership anche in Europa (cosa non riuscita nemmeno a Mario Draghi, al di là di quello che si racconta) dove sia Scholz che Macron appaiono indeboliti e distanti come mai prima d'ora.

Non è un caso se anche Pedro Sanchez, il premier spagnolo, che da anni tenta inutilmente di ritagliarsi un posto di rilievo in Europa, sfruttando proprio le tante divisioni italiane, stia cercando (proprio come Macron, da mesi in grandi difficoltà in patria) di indebolire la figura della Meloni, come il fatto di non firmare il memorandum d’intesa con Italia, Malta, Grecia e Cipro su accoglienza migranti, è lì a dimostrarlo.

Ma, soprattutto alla luce di quanto accaduto a Bali, è impensabile pensare che la leadership della Meloni possa essere messa in dubbio da un premier come Sanchez, che ad un anno dalle elezioni nazionali appare indebolito come non mai sul fronte interno e il suo partito indietro di dieci punti nei sondaggi rispetto al partito popolare.

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