Terremoto, 8.300 morti accertati. Siria, la figlia di Assad: "Non aiutateli"
Bloccati i soccorsi internazionali, il regime di Bashar al-Assad peggiora ulteriormente le cose, bombe a 25 km da Aleppo con la gente ancora sotto le macerie
Terremoto Turchia e Siria, il dramma nel dramma: bombe su Aleppo
Il terremoto che ha scosso la Turchia e la Siria lunedì ha ucciso più di 8.300 persone, di cui 2.400 sul versante siriano, secondo gli ultimi dati ufficiali diffusi mercoledì. Le autorità di entrambi i Paesi hanno riferito che 5.894 persone sono morte in Turchia e 2.470 in Siria, portando il bilancio totale a 8.364 morti. Le scosse, i morti, il buio, il gelo, la fame, la paura. E Assad. Delle sette piaghe di Siria, l’ultima è la peggiore. Due minuti di terremoto - si legge sul Corriere della Sera - son riusciti a finire il lavoro di dodici anni di guerra, seppellendo i più sfortunati che già vivevano sigillati nei campi profughi e nelle città di cartone, ma il regime di Bashar al-Assad sa bene come peggiorare il peggio: poche ore dopo il sisma, quando ancora si levavano colonne di polvere dalle case distrutte, mentre a mani nude si scavava per tirare fuori cadaveri e feriti, l’esercito siriano ha bombardato. Raid e cannonate su Marea, 25 km a nord di Aleppo.
E poi - prosegue il Corriere - arriva anche il bombardamento sui social di Zein al-Assad, 19 anni, seconda figlia del dittatore. La ragazzina ha sempre vissuto a Londra con mamma Asma, costose scuole e una passione per il cachemire, e in un post trova il modo di mettere sul chi va là i suoi follower, citando un link di raccolta fondi per i terremotati d’Idlib, una delle città più colpite (e però controllate dai ribelli): "Per favore — scrive Zein —, attenti a quelli a cui donate. Questo è un gruppo che sostiene terroristi a Idlib. Le donazioni non andranno ad Aleppo, a Latakia o a Hama" (che sono invece in zone sotto il governo di Assad). Nessuna pietà. Né per i morti, né per i vivi. La distruzione siriana resta nel cono d’ombra. D’un regime che rifiuta gli aiuti, perché diretti in regioni dell’opposizione.