Ucraina, la "pace giusta" di Zelensky un anno fa sarebbe stata chiamata disfatta

Il presidente ucraino sa che Donbass e Crimea sono persi e punta ad una fine onorevole del conflitto. L'unica "vittoria" sarà l'ingresso nell'Ue. Ma Putin vorrà trattare con Trump?

di Andrea Muratore
Esteri

Ucraina, la "pace giusta" di Zelensky un anno fa sarebbe stata chiamata disfatta

Quale “pace giusta” si prepara a negoziare l’Ucraina? Volodymyr Zelensky inizia a mettere insieme le strategie in vista di possibili negoziati con la Federazione Russa, sottolineando che Kiev ha tutto fuorché le risorse necessarie per riconquistare militarmente la Crimea e il Donbass in un’intervista a Les Echos. Si è parlato, in Italia, di “resa” del presidente ucraino, ma a dire la verità il dato di fatto è che da almeno un anno Zelensky matura il pensiero oggi espresso.

Già un anno fa Zelenky aveva capito che la Crimea era inespugnabile

Già l’anno scorso, quando le truppe ucraine erano all’offensiva, ad agosto in un’intervista al canale ucraino “1+1” Zelensky escludeva l’uso della forza come via per occupare la Crimea, fortificata pesantemente dalla Russia come parte del territorio metropolitano. Già allora la volontà di buona parte della leadership ucraina, soprattutto militare, non faceva più coincidere la definizione di “vittoria” con la totale espulsione della Russia fino a ricostituire l’Ucraina nei confini del 1991. L’allora capo di Stato Maggiore Usa Mark Milley faceva intendere che esistevano diversi concetti per definire la “vittoria”, ulteriormente evoluti quando la Russia si è avvantaggiata sul campo nella seconda metà del 2024.

Il "Piano per la vittoria" di Zelensky per una "pace giusta e onorevole"

Di fronte all’avanzata di Mosca il presidente ucraino ha promosso il “Piano per la Vittoria” avente al centro le premesse per quella che ha sempre definito una “pace giusta e onorevole”, a suo avviso premessa dell’integrità e della sovranità ucraina. Nel discorso ucraino, territori come il Donbass e la Crimea sono non più indispensabili, di fatto, per il futuro del Paese: se quest’ultima è ormai integrata nella Federazione Russa, il Donbass è invece travolto da dieci anni di guerra e due di invasione su larga scala, avvelenato da campi minati, residui bellici, scarti industriali, in larga parte da ricostruire e abitato da una popolazione per cui vale verso il governo di Kiev la stessa ostilità che gli ucraini hanno nei confronti di Mosca, identificandolo come il nemico.

Nell’intervista a Les Echos Zelensky è sembrato demandare a vaghi, futuri negoziati il possibile processo di reintegro dei territori nell’Ucraina. I suoi obiettivi sembrano essere altri, ovvero consolidare a un eventuale tavolo negoziale il percorso di avvicinamento alle istituzioni occidentali: “Non è questione di chi ti siede di fronte; è questione della posizione in cui ti trovi quando stai negoziando. Non credo che siamo in una posizione debole, ma non siamo nemmeno in una posizione forte. Entreremo nella NATO? Non lo sappiamo. Entreremo a far parte dell'Unione Europea? Sì, alla fine, ma quando?", ha dichiarato.

Ma Putin vorrà trattare con Trump?

Ad oggi tutto è vago per l’Ucraina mentre i rifornimenti d’armi latitano e l’amministrazione Usa di Joe Biden, giunta alle ultime settimane, inizia a pressare Zelensky preparandolo all’idea di abbassare da 25 a 18 anni l’età minima per l’arruolamento. Una mossa rischiosa in un Paese già gravato da defezioni e diserzioni dell’esercito. Sullo sfondo, l’Occidente è sempre meno compatto. Francia, Polonia e Regno Unito armano ancora Kiev e si sono dette disposte a schierare peacekeeper dopo un’eventuale fine del conflitto. Germania e Ungheria sono per l’apertura di trattative, l’Italia pende nel mezzo. Ma soprattutto oltre Atlantico si prepara il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il sogno di The Donald è imporre col piano del generale Keith Kellogg la Pax Trumpiana spingendo sul concetto di “pace attraverso la forza”, che renda l’America garanzia di sicurezza dell’Ucraina e eviti di far passare la mediazione come una vittoria russa.

Sarà difficile, anche perché mentre si va verso il 20 gennaio, giorno dell’inaugurazione di Trump, la guerra non si ferma, Putin non sembra apertissimo ai negoziati e diversi casi di escalation, dall’uccisione del generale Kirillov a Mosca agli attacchi russi sugli impianti energetici ucraini, mostrano la complessità della situazione. Pende, poi, su ogni riflessione la domanda chiave: ma la Russia vuole davvero negoziare? O forse, spinta tra le altre cose dalla rotta siriana, cercherà di massimizzare il suo interesse nel Paese invaso proprio ora che l’inerzia è dalla sua? Se Putin chiedesse a una trattativa, cosa farà Trump? La risposta a questo interrogativo difficilmente porterebbe all’abbandono dell’Ucraina: l’America perderebbe la faccia. Attenzione, dunque: prima di parlare di resa di Zelensky passerà ancora molto tempo. Vero è che ormai quel che fino a poco tempo fa sarebbe stato considerato disfattismo in Ucraina è oggi la linea ufficiale del presidente. Un sintomo del peso della situazione vissuta dal Paese ex sovietico.

 

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