Vino senza alcol, trend in crescita: il 50% del mercato è in mano agli astemi

Il consumo di alcol in Italia e in Europa è al ribasso, per questo si rende d'obbligo attrarre quelle categorie che non bevono alcol, in particolare i giovani

a cura di Redazione
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Vino e drink senza alcol, trend in crescita ovunque: il 50% del mercato è in mano agli astemi

"No and low alcol" è un'espressione - anglofona - con cui il mondo del vino e degli alcolici in generale si troveranno a fare i conti in un futuro non troppo distante. Attualmente, infatti, nel mondo il 50% della popolazione adulta non consuma bevande alcoliche, per questo si rende d'obbligo immettere sul mercato anche bibite che non contengano - o lo contengano in minima parte - alcol. Che i motivi siano religiosi, di salute o anche di gusto, il risultato non cambia: c’è tutto un target da conquistare.

Stando a quanto riporta il Gambero Rosso, l’Osservatorio di Unione italiana vini rileva come il consumo di alcol pro-capite vada al ribasso: -3,2% in Italia, -1,8% in Inghilterra, -1,4% in Francia e Paesi Bassi, -1% in Germania. Può il vino senza alcol prendersi un consumatore non esattamente alcol addicted? Qui entrano in gioco le previsioni dell'istituto Iwsr Drinks Market Analysis secondo cui, in 10 mercati chiave, la categoria dei vini no-low alcol segnerà una crescita media annua dell'8% in volume (2021-2025). In particolare, per il vino fermo no-low alcol si prevede un incremento di oltre il 20% (2021-2025) e un raddoppio dei volumi entro il 2025. Gli attori protagonisti di questi nuovi trend saranno i giovani tra i 20 e i 30 anni. Proprio quella generazione che il mondo del vino tradizionale ha difficoltà ad attrarre a sé.

Un altro sondaggio ha poi disegnato la mappa delle piazze più interessate al trend no and low alcol: Regno Unito in testa (53%), seguito Olanda (43%), Finlandia (36%), Germania (34%) e Norvegia (33%). Sulla scelta del Regno Unito come mercato chiave influisce anche un motivo strettamente economico: il sistema fiscale britannico applica tariffe molto basse o addirittura nessuna tariffa sui prodotti a bassa gradazione alcolica. E questo potrebbe essere un ulteriore punto di forza per questo tipo di prodotto. Guardando alle tipologie di vino, sono i bianchi (73%) e gli spumanti (58%) a guidare la categoria no-low alcol, davanti ai rosati (37%) e, infine, ai vini rossi (27%). In questa scelta, c'è anche una ragione tecnica: dealcolare i bianchi è più semplice rispetto ai rossi.

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A introdurre per la prima volta la possibilità di produrre vini senza alcol in Europa è stata la Politica Agricola Comune (Pac) 2023-2027, approvata ad ottobre del 2021, trovando un compromesso: via libera alla dealcolizzazione totale dei vini da tavola (titolo alcolometrico inferiore a 0.5%); parziale dealcolizzazione per Dop e Igp (titolo alcolometrico superiore a 0.5%). Per farlo si pratica la sottrazione dell’alcol mediante tecnologie che spaziano dall’evaporazione al ricorso a sistemi a membrana. Fino a quel momento si era fatto riferimento alle singole legislazioni nazionali. Così se per Spagna e Germania era già una pratica utilizzata da tempo, per l’Italia era off limits, dal momento che, secondo la nostra legislazione, per essere chiamato vino, un prodotto deve presentare una gradazione di circa 8 gradi (ogni denominazione, poi, fa riferimento al disciplinare specifico).

La nuova Pac ha, quindi, aperto la strada. Ma in Italia, nonostante l’ok dell’Europa, c’è ancora un ostacolo insormontabile alla pratica: il Testo Unico del Vino, che prevede multe salate per chi detiene in cantina vino con titolo alcolometrico minore di 8 gradi. Si dovrebbe, quindi, intervenire in ambito legislativo, ma non è così scontato, considerato che il ministro delle Politiche Agricole Francesco Lollobrigida ha più volte preso posizione contro i vini senza alcol: “Non devono essere chiamati vino”, ha ribadito anche in una recente intervista al Gambero Rosso. Per questo, in Italia, ci sarà probabilmente ancora da aspettare per il no and low alcol.

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