Decreto ambiente: da ANBI giudizio positivo, ma sono necessarie norme sulle acque reflue

Gargano (ANBI): "Gli enti di bonifica non sono meri ricettori dell’acqua depurata, ne sono responsabili della qualità e chiedono che questo ruolo sia riconosciuto"

di redazione green
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ANBI, sì al Decreto Ambiente: vanno però precisate le norme sull'utilizzo delle acque reflue

Arriva da ANBI il giudizio - complessivamente positivo - sul Decreto Ambiente, nonostante le persistenti criticità in materia di qualità e gestione delle acque reflue. Obiettivo del decreto, adeguare la disciplina italiana in materia di riuso idrico alle direttive e ai regolamenti dell’Unione Europea, con particolare riferimento alle norme che permettono di utilizzare il ravvenamento delle falde come misura di stoccaggio idrico in condizioni d’emergenza, nonché di caricare serbatoi sotterranei ad uso agricolo anche al di fuori della stagione irrigua.

"Gli enti di bonifica non sono però meri ricettori dell’acqua depurata, ma ne sono responsabili della qualità nei confronti degli agricoltori associati, della salute dei consumatori e della tutela per la sicurezza del Made in Italy agroalimentare, e chiedono che questo ruolo sia riconosciuto", ha dichiarato Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI, audito dalla Commissione Ambiente del Senato in relazione al riuso delle acque reflue in agricoltura, previsto nel Decreto Ambiente.

Infatti, se spetta ai gestori dell’impianto di affinamento il raggiungimento del “punto di conformità”, tocca ai Consorzi di bonifica e irrigazione, in qualità di soggetti titolari della concessione di trasporto delle acque, il dover svolgere una funzione di controllo sulla qualità di tutti i parametri chimico-fisici previsti, essendone responsabili nei confronti degli agricoltori utilizzatori e, più in generale, dell’ambiente.

"A tale proposito abbiamo in atto una sperimentazione all’impianto di Fregene con il gestore ACEA, tramite il Consorzio di bonifica Litorale Nord ed il coinvolgimento dell’Università Politecnica delle Marche e l’Ateneo di Bologna", aggiunge il DG di ANBI. "Chiediamo, infatti, la certificazione di un ente terzo sulle acque depurate, perché in gioco c’è la salubrità del cibo e la credibilità del made in Italy agroalimentare". 

L’esempio è la presenza di azoto e fosforo nelle acque affinate, spesso indicati come importanti fertilizzant. Se ciò è vero per tre mesi all’anno, negli altri nove restano elementi inquinanti perché, attraverso la percolazione nelle falde freatiche ed il fluire nei corsi d’acqua fino al mare, diventano causa di eutrofizzazione come dimostrato dai tanti interventi di disinquinamento naturale (fitodepurazione), operati dai Consorzi di bonifica nella gronda lagunare di Venezia.

Non solo: il servizio di convogliamento e adduzione di acque reflue necessita di una puntuale programmazione in quanto tale risorsa non può essere indifferentemente utilizzata sulle diverse tipologie di colture, distinguendole tra uso alimentare o meno. È evidente, quindi, che i Consorzi di bonifica e irrigazione sono chiamati a svolgere un’ulteriore funzione nella pianificazione d’utilizzo della risorsa.

"Tali elementi", conclude Gargano, "rendono evidente la necessità di ricomprendere, all’interno del Piano di Gestione dei Rischi, il ruolo attivo svolto dai Consorzi di bonifica e irrigazione, riconoscendo loro anche i costi per la veicolazione delle acque reflue, attraverso i 231.000 chilometri della rete idraulica in gestione, nell’arco dell’intero anno".

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