Regime forfettario 2023: guida sui nuovi requisiti fino a 85mila euro

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Tra le novità presenti nella Legge di Bilancio 2023, la prima firmata dal Governo Meloni, non manca un cambiamento importante riguardante il regime forfettario, e quindi il mondo delle partite IVA. A quale cambiamento facciamo riferimento? All’innalzamento della soglia per poter rimanere all'interno del regime “tutelato”, che passa dai precedenti 65mila euro agli attuali 85mila. Ventimila euro di differenza che possono cambiare potenzialmente le vite, fiscalmente parlando, di molti professionisti autonomi in Italia.
Per poter comprendere quale sia la differenza per il regime forfettario 2023 e tutte le novità sui requisiti, è necessario fare un passo indietro. Cosa si intende con regime forfettario? Si tratta di una modalità di tassazione per le imprese e i lavoratori autonomi che prevede aliquote fisse di imposta più basse rispetto al regime ordinario, ma anche limitazioni nella deducibilità delle spese. In generale, per poter accedere al regime forfettario, ci sono limiti di ricavi e compensi annui, e alcune categorie di attività sono escluse. In Italia, il regime forfettario è stato introdotto nel 2016 per favorire l'avvio di nuove attività e per formalizzare quelle esistenti.
Ma entriamo più nel dettaglio. Questo regime, nel nostro paese, permette di applicare un'aliquota fissa del 15% (che diventa del 5% per i primi cinque anni, in caso di start up) sull’imponibile con un limite di ricavi o compensi annui fissato a 85mila euro. Inoltre, i forfettari non hanno obbligo di tenere la contabilità, se non per la conservazione dei documenti fiscali, e non possono dedurre le spese dal reddito imponibile. 
Per poter accedere al forfettario ci sono alcune limitazioni da rispettare. Come abbiamo visto, quella più importante riguarda il limite di ricavi o compensi annui. Ne esistono però anche altre. Non bisogna rientrare, ad esempio, in determinate categorie professionali. 
Il punto di forza di questo tipo di regime, come si può ben comprendere, è che permette di avere una tassazione agevolata per le nuove attività e per quelle esistenti. Tuttavia, non è sempre conveniente a causa proprio dell'impossibilità di dedurre le spese dal reddito imponibile. 
Questo in linea generale. Con la nuova Legge di Bilancio, il forfettario è leggermente cambiato, soprattutto per quanto riguarda il limite e i requisiti di accesso. Scopriamo insieme quali sono tutte le novità relative al Regime forfettario 2023.

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Regime forfettario 2023: cosa cambia

Con la Legge di Bilancio 2023, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 303 del 29 dicembre ed entrata in vigore il 1° gennaio, è cambiato anche il regime forfettario. In particolare si è innalzata, con il comma 54, la soglia di ricavi e compensi per poter applicare l'imposta forfettaria del 15%, sostitutiva a quelle ordinarie. Rispetto ai precedenti 65mila euro la soglia adesso prevede un massimo di 85mila euro, come abbiamo visto. Una novità molto importante, ma non l'unica.
La disposizione prevede, ad esempio, un altro cambiamento molto marcato: l'agevolazione, una volta maturati compensi e ricavi superiori ai 100mila euro, cessa infatti immediatamente, senza più la necessità di aspettare il successivo anno fiscale.
Non cambiano invece gli sconti fiscali previsti con l'accesso a questo regime. Restano quindi gli stessi che abbiamo già imparato a conoscere nel corso di questi anni. Li riassumiamo brevemente:

    −    determinazione agevolata del reddito imponibile attraverso l'utilizzo del coefficiente di redditività stabilito dalla legge e da applicare sui compensi conseguiti nell'anno solare, con deduzione dei contributi previdenziali obbligatori;

    −    applicazione al reddito imponibile di un'imposta che sia unica e si attesti al 15% (5% in caso di nuove attività, se rispondono a determinate condizioni), per sostituire quelle ordinariamente previste, ossia le imposte sui redditi, le addizionali regionali e comunali e l'IRAP).

Tali regole valgono per tutti i forfettari fino al raggiungimento del limite previsto dalla legge. Quando i compensi o ricavi superano i 100mila euro, dal 2023 scatterà immediatamente l'uscita dal regime forfettario, senza aspettare il successivo anno fiscale. Ciò vuol dire che il professionista dovrà versare l'IVA su tutte le operazioni effettuate dal momento del superamento del limite, comprese quelle che hanno portato al raggiungimento di tale soglia.
Non cambiano invece le cose per i professionisti che superano gli 85mila euro ma non raggiungono i 100mila. In questo caso, l'uscita dal regime forfettario sarà effettiva dal successivo anno fiscale.

Partita IVA forfettaria: i requisiti necessari dopo la riforma del Governo Meloni

Cambia dunque il regime forfettario nel 2023, con nuove regole e nuovi limiti. Naturale a questo punto chiedersi se sia cambiato qualcosa anche per quanto riguarda i requisiti di accesso. In questo caso la risposta è ‘no’.
Al di là del discorso relativo alle soglie, i requisiti restano gli stessi previsti dalle precedenti leggi. In particolare il regime forfettario resta riservato alle persone fisiche titolari di redditi d'impresa o di lavoro autonomo che non abbiano superato gli 85mila euro di compensi annui e abbiano sostenuto spese per un importo complessivo non superiore ai 20mila euro lordi per lavoro accessorio, dipendente e compensi a collaboratori. In aggiunta a questi requisti, non devono aver percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati che superino l'importo di 30mila euro, secondo gli articoli 49 e 50 del TUIR.
Approfondiamo però il discorso relativo ai requisiti. Questi possono essere divisi in soggettivi e oggettivi. I primi riguardano, appunto, il soggetto beneficiario del regime, che può essere una persona fisica che eserciti attività d'impresa, arte o professione, e quindi un libero professionista, o una ditta individuale. Restano escluse da questo regime le Società e le Associazioni professionali.
I requisiti oggettivi sono invece, oltre a quello relativo ai ricavi, i seguenti:

    −    per le nuove attività il limite stabilito (85mila euro) va ridotto in proporzione ai mesi di operatività, e va quindi divisa la somma totale, 85mila, per i giorni dell'anno, 365, e moltiplicato il risultato per i giorni di attività effettiva, contandoli a partire da quello di apertura dell'attività;

    −    per chi esercita più di un'attività il limite delle spese per personale dipendente o per lavoro accessorio (relative, per quanto riguarda il forfettario 2023, all'anno 2022) non devono superare la soglia di 20mila euro.

Le cause di esclusione dal regime forfettario nel 2023

Se fino a questo momento ci siamo soffermati sui requisiti necessari per poter accedere al regime forfettario anche nel 2023, bisogna sottolineare che esistono anche alcune situazioni che non devono verificarsi per poter rimanere all'interno del forfettario, e che comportano l'esclusione automatica dalle agevolazioni previste e l'obbligo di passare al regime ordinario.
Tali cause di esclusione sono state parzialmente modificate con le precedenti Leggi di Bilancio, in particolare quella del 2019 e quella del 2020, mentre con la manovra 2023 si è introdotta solo la fuoriuscita basata sul superamento del limite di ricavi e compensi, secondo le modalità che abbiamo sopra indicato.
Quindi, se si sfora il limite degli 85mila euro, senza arrivare a superare i 100mila, si viene esclusi dal regime forfettario e dalle agevolazioni previste dalla legge, ma solo dall'anno fiscale successivo (in questo caso dal 2024). Se invece si supera la soglia dei 100mila l'uscita diventa immediata e il professionista diventa obbligato ad aderire al regime ordinario e ad applicare l'imposta sul valore aggiunto a partire dalle fatture successive al superamento di tale soglia.
In questi casi, è possibile comunque tornare a godere delle agevolazioni previste per i forfettari, ma non prima che siano trascorsi due anni.
Oltre al superamento della soglia, esistono però altre cause di esclusione dal regime forfettario. In particolare, non possono aderire a tale regime le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini dell'imposta sul valore aggiunto o di regimi forfettari per determinazione del reddito. Tali regimi speciali IVA riguardano i professionisti dei seguenti ambiti, secondo quanto riportato nella Circolare n. 10/E/2016 dell'Agenzia delle Entrate:

    −    agricoltura e attività connesse a pesca;
    −    vendita sali e tabacchi;
    −    commercio dei fiammiferi;
    −    editoria;
    −    gestione di servizi di telefonia pubblica;
    −    rivendita documenti di trasporto pubblico;
    −    intrattenimenti, giochi e altre attività;
    −    agenzie di viaggi e turismo;
    −    agriturismo;
    −    vendita a domicilio;
    −    rivendita di beni usati, oggetti d'arte, d'antiquariato o da collezione;
    −    agenzie di vendita all'asta dei suddetti oggetti;
    −    vendita di rottami o cascami.

In aggiunta a questo tipo di professioni, sono esclusi dal regime forfettario anche i non residenti in Italia, con alcune eccezioni. In particolare, se il professionista in questione:

    −    risiede in uno degli Stati membri dell'Unione Europea o in uno Stato che aderisca all'Accordo sullo Spazio economico europeo che assicuri uno scambio di informazioni adeguato;

    −    produce sul territorio italiano redditi che costituiscono almeno il 75% del reddito complessivo.

Sono poi esclusi dal regime i soggetti che effettuano cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricato, di terreni edificabili, di mezzi di trasporto nuovi in via esclusiva o prevalente, gli esercenti di attività d'impresa, arti o professioni che contemporaneamente partecipano a società di persone o associazioni professionali o che controllano, direttamente o indirettamente, società a responsabilità limitata o associazioni di partecipazione.
A questi si aggiungono anche i professionisti la cui attività sia esercitata in maniera prevalente con datori di lavoro con cui siano in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d'imposta (si considerano anche soggetti direttamente o indirettamente riconducibili a tali datori di lavoro). E poi, come abbiamo già avuto modo di specificare, i professionisti che hanno percepito, nell'anno precedente, redditi di lavoro dipendente o assimilati che superino la soglia di 30mila euro, anche qualora il rapporto sia già cessato.

Regime forfettario: obbligo fatturazione elettronica

Con l'articolo 18 del DL 36/2022 anche per i contribuenti titolari di partita IVA nel regime forfettario diventa obbligatorio passare dalla fattura cartacea a quella elettronica. Ma da quando decorre tale obbligo? Esistono delle eccezioni che permettono di evitare la fatturazione elettronica?
Prima di vedere nel dettaglio cosa prevede la legge, chiariamo cosa sia la fattura elettronica e quali siano le differenze rispetto a quella cartacea. Con fattura elettronica si fa riferimento a un documento fiscale che rappresenta una fattura tradizionale, ma in formato digitale. Questo documento viene generato, trasmesso e conservato in formato elettronico, mediante l'utilizzo di un sistema di interscambio (SdI) gestito dall'Agenzia delle Entrate. La fattura elettronica deve soddisfare requisiti tecnici e contenere tutte le informazioni previste dalla legge per la fattura tradizionale.
L'emissione di fatture elettroniche permette di semplificare e velocizzare la gestione dei documenti fiscali, nonché di ridurre l'utilizzo di carta e l'errore umano. In generale, la fattura elettronica è generata da un software specifico e deve essere trasmessa all'Agenzia delle Entrate dal SdI, che ha il compito di verificarne la corretta formazione e di trasmettere la fattura al destinatario. Tale documento viene quindi conservato in formato digitale per i periodi di tempo previsti dalla legge fiscale.
Qual è la differenza rispetto alla fattura cartacea? Semplice. Quella elettronica viene redatta necessariamente attraverso l'utilizzo di un pc, un tablet e uno smartphone. Inoltre deve essere trasmessa elettronicamente, e non in altro modo, al proprio cliente tramite il Sistema di Interscambio. Quest'ultimo viene considerato dall'Agenzia delle Entrate come una sorta di “postino” che ha il compito di verificare che la fattura contenga almeno i dati obbligatori ai fini fiscali e l'indirizzo telematico del destinatario, e che la partita IVA del fornitore e quella del cliente (o in alternativa il suo Codice Fiscale) siano esistenti.
Se i controlli effettuati risultano positivi, il SdI consegna la fattura in modo sicuro con “ricevuta di recapito”. Non cambiano invece i dati da dover inserire in fattura, che rimangono gli stessi delle fatture cartacee.
Veniamo adesso al nocciolo della questione. La fattura elettronica è diventata obbligatoria per i forfettari? A partire dal 1° luglio 2022 i soggetti che nell'anno precedente hanno conseguito ricavi o compensi superiori a 25mila euro hanno già dovuto effettuare il passaggio alla fattura elettronica nell'anno in corso. I restanti soggetti saranno tenuti a farlo dal 1° gennaio 2024.
Un parziale esonero dall'applicazione della norma è stato previsto solo per il primo trimestre. Con una specifica ulteriore, però, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che dal luglio 2022 sono diventate obbligate al passaggio alla fatturazione elettronica solo le partite IVA che abbiano ricevuto ricavi o compensi superiori alla suddetta soglia nel corso del 2021. Tutti gli altri ne restano esclusi quindi fino al 1° gennaio 2024. Una precisazione arrivata dall'Amministrazione finanziaria attraverso le FAQ in materia di fatturazione elettronica.

Regime forfettario: la nuova tassazione

Non ci sono differenze tra il 2022 e il 2023 per quanto riguarda la tassazione all'interno del regime forfettario. Le persone che aderiscono a questo regime determinano il proprio imponibile applicando, all'ammontare di ricavi e compensi percepiti nell'anno fiscale, il coefficiente ATECO di redditività, collegato con l'attività professionale esercitata. Una volta determinato l'imponibile, basta calcolare un'imposta unica del 15% sostitutiva delle imposte sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell'IRAP.
Come abbiamo già avuto modo di anticipare, l'aliquota scende al 5% per i primi cinque anni per tutte le attività che vengono aperte da titolari che prima non hanno svolto il medesimo lavoro (e quindi alle start up).
Per poter rientrare in questa casistica bisogna rispondere a determinati requisiti. In particolare:

    −    il titolare dell'attività non deve aver svolto, nei tre anni precedenti, tale attività, nemmeno in forma associata o familiare;

    −    l'attività intrapresa non deve essere una continuazione di un'attività precedentemente svolta sotto forma sia di lavoro autonomo che dipendente;

    −    qualora l'attività fosse rilevata da un altro soggetto, è necessario verificare che gli incassi totali dell'anno precedente rientrino nei limiti per aderire al forfettario.

Compreso questo aspetto, vale la pena sottolineare quanto i codici ATECO possano fare la differenza per comprendere quante tasse andrà a pagare un professionista che rientra nel forfettario. Ogni codice presuppone infatti un coefficiente di redditività che determina l'imponibile. 
Vediamo le percentuali nel dettaglio:

    −    40% per le industrie alimentari e delle bevande, commercio all'ingrosso, commercio ambulante di bevande alimentari, attività di servizi di alloggio e ristorazione;
    −    54% per ambulanti di altri prodotti;
    −    62% per intermediari del commercio;
    −    67% per altre attività economiche;
    −    78% per attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari e assicurativi;
    −    86% per industria delle costruzioni e attività immobiliari.

Calcolo tasse col regime forfettario 2023

Per poter calcolare le tasse che dovremo pagare con il regime forfettario nel 2023 è necessario dunque conoscere una serie di informazioni fondamentali, al netto della percentuale relativa ai contributi previdenziali prevista dalle singole casse dell'INPS o dalla Gestione Separata.
Sono necessari in particolare il codice ATECO e la somma dei ricavi e compensi. Proviamo a fare qualche esempio. Se consideriamo un professionista che fattura 50mila euro in un anno, con codice ATECO che preveda un imponibile del 40%, il suo 15% dovrà essere calcolato non sui 50mila, ma su 20mila. La sua imposta sostitutiva sarà dunque del valore di 3000 euro. 
Se invece il suo codice ATECO lo avesse fatto rientrare nella categoria con imponibile all'86%, avrebbe dovuto pagare un'imposta sostitutiva di 6450 euro, in quanto il suo imponibile sarebbe stato di 43mila euro.

Partita IVA forfettaria: quali sono i costi

Abbiamo appena visto quali sono le tasse da pagare con il regime forfettario. Rispetto al regime ordinario, la differenza sostanziale sta non solo nella semplicità di gestione, ma anche in una convenienza oggettiva per molte categorie di professionisti. Ma sono solo questi i costi che una partita IVA che aderisce a questo regime deve sostenere?
Esistono in effetti altri costi, sia fissi che variabili, che vanno valutati prima dell'apertura di una partita IVA, anche forfettaria. In particolare, bisogna considerare:

    −    il costo di un commercialista o di un servizio di consulenza fiscale (se ne trovano ormai moltissimi anche online);
    −    il costo di iscrizione alla Camera di Commercio o all'Albo degli Artigiani da sostenere una tantum nel momento della registrazione;
    −    il diritto camerale annuo da versare in misura fissa.

Questi ultimi due punti vanno però presi in considerazione solo per le ditte individuali. Tolte le spese fisse, è evidente che il costo più importante sia quello derivante dalle voci variabili, e quindi da tasse e contributi previdenziali, determinate dal codice ATECO, dalla cassa INPS cui si è iscritti e ovviamente dai ricavi generati nel corso dell'anno fiscale.
Importante tener conto, in particolare, dei contributi da versare annualmente, compresi di acconto per l'anno successivo. La percentuale è infatti generalmente più alta rispetto al 15% dell'imposta sostitutiva. Ad esempio, per chi è iscritto alla Gestione Separata INPS, il calcolo va effettuato, dopo aver applicato il coefficiente di redditività, al 26,23%.

Regime forfettario 2023 per dipendenti

Non cambiano le regole per quanto riguarda tasse e limiti se sei un dipendente, sia privato che pubblico, che ha voglia di aprire un progetto personale con partita IVA. È necessario però che le attività siano compatibili e che si rispettino determinati requisiti.
Un dipendente pubblico è soggetto a diverse limitazioni. Se ha un contratto full time può aprire partita IVA solo se autorizzato dall'amministrazione pubblica, e rimanendo all'interno di questi parametri:

    −    il lavoro deve essere temporaneo od occasionale;
    −    non deve essere svolto durante l'orario di lavoro dipendente;
    −    non deve andare in conflitto d'interesse con la pubblica amministrazione;
    −    non può riguardare attività di carattere commerciale, industriale e professionale.

Nel caso il contratto sia part time a meno del 50% delle ore, non esistono limitazioni.
Per un dipendente privato le regole sono invece molto più elastiche e si limitano alla verifica che il lavoro da autonomo non vada in concorrenza con quello da dipendente per l'attività con cui si lavora.
Infine, in entrambi i casi, è necessario che il reddito annuo lordo da lavoratore dipendente non superi i 30mila euro, altrimenti sarà impossibile aderire al regime forfettario.

Regime forfettario 2023: a chi conviene

Abbiamo visto nel dettaglio i costi che può comportare l'apertura di una partita IVA a regime forfettario nel 2023, tenendo conto di voci fondamentali come quella relativa al codice ATECO. Va sottolineato, comunque, che non sempre è conveniente aderire al forfettario piuttosto che al regime ordinario.
Il forfettario è in particolare consigliato solo quando si verificano le seguenti condizioni:

    −    le spese sostenute dal professionista nella sua attività sono quelle che risulteranno, all'incirca, dal coefficiente di redditività;

    −    la situazione familiare complessiva non renda vani i vantaggi derivanti dalle semplificazioni del regime, e quindi la perdita delle detrazioni e deduzioni IRPEF.

Per fare un esempio, se un professionista, durante la sua attività, spende molto di più rispetto a quanto calcolato dal regime forfettario, dovrebbe considerare l'idea di rinunciare a questo regime per passare all'ordinario. Stesso dicasi se, calcolando tutte le possibili deduzioni e detrazioni, finisse per scoprire che pagherebbe meno rispetto a quanto previsto dalla sua situazione in regime forfettario.
Qualora fossi ancora indeciso, è consigliabile quindi sottoporre la tua situazione a un professionista che possa esporti chiaramente quali sarebbero i costi di un regime rispetto a un altro nella tua attuale condizione.


 

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