Il prezzo dell’energia non scende più. L'esperto: “Manca classe dirigente UE”

Se tutto va bene siamo rovinati. Mentre le società petrolifere macinano profitti la UE rischia di trasformare l’Europa in una società divisa per classi

di Antonio Amorosi
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Salvatore Carollo, ex uomo Eni, spiega cosa fare e perché per abbassare i prezzi. Ma la UE non pianifica strategie realistiche se non il debole blablabla delle ideologiche green 

 

Il prezzo dell’energia è sparito dall’agenda politica. Accade mentre la domanda mondiale di greggio cresce ogni mese, colpa principalmente dei mercati asiatici, Cina e India in primis: vogliono consumare come noi occidentali. Ma le relazioni dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (Iea), dell'Opec e l'Us Energy Information Administration (Eia), forniscono informazioni che dovrebbero preoccupare i gruppi dirigenti europei e occidentali. Invece in Europa nessuno batte ciglio, tanto meno fa strategie: tutto starebbe andando alla grande. Si continua così a ripetere il mantra dell’energia pulita che salverà il continente mentre continuiamo a pagare quanto decide il mercato, accettando come ordinario il calcio in bocca dato dall’inflazione dei prezzi.

I numeri però sono incontrovertibili e mostrano come le grande aziende di idrocarburi continuino a macinare profitti senza cimentarsi nello sport UE, non fare nulla per arrivare sempre più ad un società stratificata per classi sociali, ormai non c’è altra prospettiva: chi ha soldi sopravvive, gli altri verranno selezionati come le specie animali.

“Di recente”, ha raccontato sul magazine di energia Staffetta Quotidiana l’esperto ed ex uomo Eni Salvatore Carollo, già intervistato nel 2022 da Affaritaliani, “si sono svolte le assemblee annuali delle varie compagnie petrolifere ed energetiche europee. È stato uno spettacolo divertente sentire i vari CEO parlare del business e delle strategie delle loro compagnie senza mai pronunciare la parola petrolio (o gas naturale). Eppure, il 90-95% delle loro attività e dei loro profitti sono totalmente correlati alla produzione di idrocarburi. Ed è stato ancora più affascinante vedere la corte di giornalisti accettare queste presentazioni senza battere ciglio, senza fare una domanda, senza chiedere da dove verranno i profitti e i dividendi per gli azionisti nei prossimi anni”.

Dividendi che ci sono eccome ma i media mainstream si sono messi l’anima in pace o il portafogli al sicuro, amando ripetere le fresi fatte della salvifica ideologia green a venire. Un blablabla che non tampone un quadro disastroso.

La disamina dell’esperto è netta: “Ci comportiamo ormai come se il petrolio non esistesse più, come se fosse un marginale fastidio da sopportare ancora per alcune settimane. Insieme alle zanzare”.

In realtà non è così e tra cambi dei sistemi di stoccaggi, dei modello di raffinazione, sanzioni alla Russia che non hanno fatto altro che far lievitare ulteriormente il prezzo, si dovrebbe pianificare piani industriali che invece non si vedono all’orizzonte. Carollo: “Le sanzioni europee sui prodotti russi hanno aggravato il problema, nonostante, spesso, si siano osservati fenomeni di turismo petrolifero con prodotti che dalla Russia sono andati verso il Golfo e l'India per poi tornare ad alimentare i mercati internazionali e finire in occidente. Ovviamente, producendo il risultato finale di un aumento dei prezzi, che si è sentito e si continuerà a sentire sempre di più”.

C’è qualcosa di profondo che non va, e ricomprarsi l’energia russa maggiorata ne è solo un simbolo.

Si potrebbe agire per governare la complessa dinamica dei prezzi dell’energia anche perché “nel corso del 2023, si è visto, in particolare, un aumento della domanda di due prodotti molto critici per i Paesi occidentali”, spiega Carollo e parliamo delle “benzine (di circa 500 mila b/g) ed il jet fuel (di oltre 1 milione di b/g)”. I sistemi di raffinazione europea ed americana non sono stati in grado di rispondere alla domanda. Farlo avrebbe un effetto sui prezzi per la collettività occidentale.

Carollo a questo punto mostra i margini d’azione e d’intervento che sarebbero ampi: “Parte della produzione di petrolio greggio prodotta nei campi petroliferi non è stata trasformata in tempo reale in prodotti finiti richiesti dai mercati al consumo ed è finita in parte ad aumentare il livello delle scorte viaggianti (su nave) e a terra”. Esiste poi una mancanza di capacità di raffinazione su mercato mondiale che però non si percepisce né si pensa di poter regolare con politiche industriali sinergiche tra più Paesi (le raffinerie operano per alimentare i mercati locali dei propri Paesi e quindi in mercati chiusi, senza interscambi con i flussi dei mercati internazionali).

Ma per fare tutto ciò servirebbero delle classi dirigenti che studino i fenomeni e intervengano con uno spettro d’azione planetario. Qualcuno ne ha vista anche solo l’ombra?

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