Inflazione, il Nobel Paul Krugman spende parole di moderato ottimismo
L'inflazione, pur nelle differenze tra Stati Uniti ed Europa, sembra rallentare ovunque
Inflazione, il Nobel Paul Krugman è moderatamente ottimista
A spargere un po’ di ottimismo sulla complicata situazione economica mondiale è stato addirittura Paul Krugman (il settantenne di Albany) premio Nobel e conosciuto editorialista americano. Nel suo intervento al Vigo Global Summit 2023 e in un’intervista al prestigioso El Pais si è detto convinto che la crisi inflazionistica, che preoccupa tutti, sta già iniziando a placarsi. Su questo tema in primis il nostro premier Giorgia Meloni e poi altri Governi, si sono detti contrari alla politica della Bce e del suo Presidente Christine Lagarde che ha annunciato una mano più dura contro l'inflazione.
A queste critiche Krugman ha risposto che “Nell'eurozona l’inflazione, nel suo insieme, dura ancora. Non capisco perché la disinflazione non sia stata più rapida in Europa, ma se gli Stati Uniti sono indicativi, arriverà. In ogni caso, un anno fa noi ottimisti cercavamo di trovare delle scuse per spiegare perché i dati erano peggiori della realtà. Ora è il contrario, sono i pessimisti che avvertono che i dati possono dare un'impressione sbagliata. Ma sempre più difficile mantenere quest'ultima posizione”.
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Inflazione, molta incertezza nelle strategie delle Banche Centrali
Ma suIle future mosse delle Banche Centrali per raggiungere l’obiettivo del 2% l’economista americano dice che "C'è molta incertezza. Le previsioni sono state costantemente sbagliate: troppo ottimiste sull'inflazione e troppo pessimiste sull'occupazione". Dobbiamo prendere molto sul serio questa previsione del 2,2% a breve termine? "Non ci credo-risponde Krugman- la verità è che c'è molta più incertezza su quale sia il tasso naturale di interesse. Nel caso degli Stati Uniti, non mi sorprende che con i dati del mercato del lavoro e dell'economia reale l'inflazione sia scesa. Sono sorpreso che, con gli attuali tassi di interesse che abbiamo, non abbiamo sperimentato altro che un rallentamento economico”.
Un altro luogo comune “smontato” da Krugman riguarda la credibilità dei banchieri. ”Ciò che conta è l'economia reale, non i mercati. La convinzione dei banchieri centrali che la credibilità sia un fattore importante nella battaglia contro l'inflazione non è supportata da alcun dato, anche se ciò che fanno ha effetti importanti sull'economia. Wall Street, City di Londra o Francoforte hanno fissato prezzi e salari, quindi non sono così sicuro che la credibilità delle banche centrali conti così tanto”.
Inflazione, la realtà dei salari, dei profitti aziendali e dei mutui in crescita
Sui mutui Krugman vede la differenza sostanziale tra quelli erogati in America rispetto agli europei. "Negli Stati Uniti la maggior parte dei prestiti sono a tasso fisso per 15 o 20 anni e questo aiuta molto ad evitare colpi indiretti come quelli che stanno avvenendo in questo periodo in Europa”. Ma salari in aumento e profitti aziendali sono rischiosi per l’inflazione?
A questa domanda il premio Nobel americano ha sottolineato che “i salari non hanno aumentato direttamente l'inflazione perché i benefici sono aumentati più dei salari. E alcuni degli aumenti di margine che abbiamo visto, ma non tutti, riflettono uno sfruttamento del potere di mercato. Credo che l'avidità sia un fattore, ma non quello dominante. Ed è anche vero che non si può placare l'inflazione se i salari salgono così velocemente. In questo caso, penso che Lagarde abbia ragione a guardare ai salari, perché è una delle misure da guardare per vedere se l'economia si sta surriscaldando. E la rapida crescita dei salari è un indicatore che l'economia della zona euro è ancora forte”.
Inflazione, protagonista nell'aumento delle diseguaglianze
Un altro tema che emerge di continuo in questa fase è se l’inflazione abbia portato ad un aumento delle disuguaglianze? A questo proposito ha risposto con “No. Negli Stati Uniti è successo il contrario. Tutti presumono che l'inflazione colpisca i più poveri, ma non è così. Vediamo che gli aumenti salariali sono stati sostanzialmente più alti in basso che in alto. Quindi abbiamo assistito a una significativa compressione della disuguaglianza negli Stati Uniti durante questa era di Covid-19. Abbiamo invertito almeno un quarto dell'aumento della disparità salariale che ci trascinavamo dagli anni Ottanta. È molto. E solo i lavoratori meno pagati sono il gruppo il cui stipendio è cresciuto più dell'inflazione.
E’ pur vero che i più poveri avvertono maggiormente l’aumento dei prezzi soprattutto perchè l'inflazione si è riflessa sui prezzi di energia e beni alimentari. E la forchetta tra ricchi e poveri si è allargato. Fortunatamente però i prezzi dell’energia sono scesi e quelli degli alimentari sembrano farlo altrettanto, almeno negli Stati Uniti”. Insomma tra le tante ombre l’esperto americano, pur con le differenze sostanziali ta l’economia americana che crea posti di lavoro a grande velocità, e il vecchio Continente che si muove a rilento ma a macchia di leopardo, si cominciano a vedere alcuni luci. Dappertutto, anche se lentamente, l’inflazione sta rallentando, e questa è comunque una buona notizia per lavoratori, famiglie ed imprese.