“Mi limitavo ad amare te”: la recensione del favorito allo Strega 2023

Stasera su Rai 3 andrà in onda in diretta la finale del Premio Strega 2023

di Chiara Giacobelli
Libri & Editori

Il Premio Strega giunge alla sua serata conclusiva: stasera alle 23 la diretta su Rai 3 dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Affaritaliani.it recensisce Mi limitavo ad amare te di Rosella Postorino, edito da Feltrinelli e dato per favorito in gara.

Mi limitavo ad amare te è davvero tra i libri più belli nella cinquina del Premio Strega 2023. Edito da Feltrinelli e scritto da Rosella Postorino – nota soprattutto per il bestseller Le assaggiatrici – il romanzo tratta il tema della guerra degli anni Novanta in Bosnia-Erzegovina dal punto di vista dei molti bambini che ne furono vittime (in)consapevoli. L’autrice, presentata dallo scrittore e direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino Nicola Lagioia, è ritenuta la favorita di questa LXXVII edizione del premio con ben 217 voti ottenuti, un risultato che l’ha portata per l’appunto in testa alla classifica attuale. Segue a una certa distanza Come d’aria di Ada D’Adamo e poi, sempre in ordine di preferenze ricevute, Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone, La traversata notturna di Andrea Canobbio e infine Rubare la notte di Romana Petri.

Questa sera scopriremo chi sarà il vincitore del Premio Strega 2023 e sarà possibile seguire da casa in diretta su Rai 3, a partire dalle 23, la serata che si svolgerà presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, con la conduzione di Geppi Cucciari. Il premio sarà assegnato da una giuria composta da 400 Amici della domenica, ai quali si aggiungono 220 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da oltre 30 Istituti Italiani di Cultura all’estero, 20 lettori forti e 20 voti collettivi espressi da scuole, università e gruppi di lettura, tra cui i circoli costituiti presso le Biblioteche di Roma, per un totale di 660 aventi diritto. In attesa di conoscere l’esito, Affaritaliani.it prosegue le recensioni dei libri entrati nella dozzina dello Strega con Mi limitavo ad amare te, di Rosella Postorino (Feltrinelli).

D’altronde, avevano finalmente due figli soltanto perché era scoppiata una guerra dall’altra parte del mare: il loro desiderio più persistente si era realizzato grazie alla sciagura di un intero Paese, grazie a una madre saltata in aria. Affinché una donna senza figli possa allevare il figlio di un’altra, serve una quantità smisurata di sofferenza all’origine. Che la madre biologica sia morta o no, è comunque in corso un lutto.

Da una parte c’è il caso: quello che porta un orfano sulla strada di una famiglia in cerca di un figlio, o che lega due bambini per sempre a fronte di una tragedia condivisa; quello che fa nascere un fratello più timido, insicuro, bisognoso dell’abbraccio materno e dona invece all’altro un carattere indipendente, forte, capace di staccarsi dal passato per guardare al futuro. Dall’altra parte c’è la volontà, ciò che non accade per qualcosa di inspiegabile nelle leggi dell’universo, per un incidente di percorso o per casualità, ma è scelto, nel bene e nel male. Il lancio di una bomba su un orfanotrofio, lo stupro di una donna (o di migliaia), la scelta di abbandonare un figlio, oppure di non farlo, persino il suicidio. La guerra, e ancor più la morte, sono frutto di entrambi. In questa opera notevole che Rosella Postorino ci consegna all’età di 45 anni, già matura come scrittrice e nota al pubblico dei lettori, caso e volontà sono i due fattori fondamentali per determinare gli eventi, come d’altronde si potrebbe dire della vita più in generale. C’è un però che va tuttavia preso in considerazione: come spiegare a un bambino in quali e quanti modi questi due elementi si intrecciano tra loro per generare una tragedia? Come fargli comprendere l’assenza di un genitore, una città distrutta dalle bombe, un dito mozzato, i morsi della fame, le fughe nel cuore della notte? È impossibile farlo, ed è per questo che ogni bambino reagisce a suo modo alle tragedie, ognuno trova dentro di sé le proprie strategie per sopravvivere e per fronteggiare ciò che sente: paura, rabbia, angoscia, frustrazione, incomprensione, incertezza, senso di precarietà, o di estraniamento, o di non appartenenza, o magari tutte queste cose insieme.


 

Mi limitavo ad amare te trova la sua grandezza proprio nella capacità di intersecare tra loro storie simili ma non uguali, nell’ambientazione della guerra che colpì la Bosnia-Erzegovina a partire dalla primavera del 1992. Facendo lavorare la fantasia attraverso personaggi inventati ed episodi di immaginazione, la Postorino tiene lo sguardo puntato su un fatto storico reale, che riesce qui a raccontare con estrema lucidità, ampiezza di vedute, ponendosi dal punto di vista dei più piccoli senza mai risultare stucchevole. La guerra è solo l’inizio di un percorso che implica molti più aspetti di quanti siamo soliti prendere in considerazione quando scoppia un conflitto bellico: i ragazzini di questo libro, infatti, hanno in comune la sorte di essere stati caricati su un pullman diretto in Italia, mentre nel loro Paese esplode la follia umana. Ma quale sorte li aspetta nel luogo in cui arriveranno, sradicati dalla propria terra, dalle case in rovina, dalle madri disperse, dai padri al fronte, dalle sorelle sotto shock?

Omar, Nada, Danilo e Sen, insieme a un altro gruppo di bambini che non hanno ancora raggiunto l’età dell’adolescenza ma non sono nemmeno così piccoli da non capire che cosa accade attorno a loro, sono i protagonisti di questa complessa, sfaccettata e commovente storia a più voci, che ha inizio nella Sarajevo martoriata dalla guerra e ha fine soltanto con il passaggio del testimone alle nuove generazioni (se poi davvero una fine possa esistere). In mezzo, il lungo viaggio dalla Bosnia verso una terra ignota, di cui non conoscono nulla: la lingua, le abitudini, il clima, le regole basilari. Sembrerebbe una via di salvezza, invece non si rivelerà tale per tutti, perché se c’è chi è pronto a gettarsi il passato alle spalle, c’è anche chi a quelle origini è saldamente ancorato e non può vivere senza.

Rosella Postorino fa luce attraverso questo romanzo, che in un certo qual modo si potrebbe definire storico (sebbene non sia passato neppure mezzo secolo dall’epoca dei fatti), su una pagina dell’Europa – e dell’Italia in particolare – poco raccontata. Accadde, infatti, in quegli anni di smarrimento e confusione, che in qualche modo il governo italiano tentò di ostacolare il rientro dei bambini nella loro patria alla fine della guerra. Si disse che certe decisioni le si prendeva per il bene dei diretti interessati, onde evitare loro il trauma di un ritorno nei luoghi della fame, della solitudine e del terrore. Si disse anche che lo si fece per sicurezza, poiché né Sarajevo né il resto della Bosnia-Erzegovina erano sufficientemente solidi, ricchi e in pace da potersi riprendere i propri figli. Probabilmente c’è del vero in tali affermazioni, ma dal libro emerge anche un’altra realtà, per anni taciuta: le molte famiglie di italiani che avevano ricevuto un figlio in affido non erano disposte a separarsene, restituendolo ai genitori naturali. Comprensibile, difficile da contestare: eppure, come vissero quella decisione, talvolta al limite con la prigionia forzata, i bambini poi divenuti adolescenti?

Le emozioni, i pensieri, le valutazioni dei protagonisti sono talmente diverse tra loro da rendere il racconto della Postorino veritiero e privo di ogni giudizio morale. Ne è un esempio la storia dei due fratelli Sen e Omar, molto legati l’uno all’altro e ospiti di un orfanotrofio bombardato prima di essere portati in Italia: il loro padre è scomparso quando erano molto piccoli, la madre li ha lasciati – per qualche motivo che non viene mai spiegato del tutto, ma che possiamo immaginare – in un luogo dove altri si possano prendere cura di loro, senza rinunciare ad andare a trovarli di tanto in tanto. Quando una granata esplode proprio sulla strada che conduce all’orfanotrofio e Omar perde i sensi mentre stringe la mano di sua madre, tutto cambia, poiché da quel momento in poi – per lunghissimo tempo – non riuscirà a sapere più niente di lei. Non resta che l’Italia, dove dapprima li aspetta un centro di accoglienza, poi la scuola e infine una famiglia desiderosa di adottarli. Tuttavia, quei due ragazzini così simili e vicini, identici per buona parte del proprio DNA, reagiscono in maniera opposta rispetto alle “opportunità” che vengono loro offerte: con un totale rifiuto Omar, con estrema gratitudine Sen. Perché di fatto ogni essere umano è fatto a suo modo, vive e pensa come un individuo unico e consapevole sin da bambino: è per questo che non può esistere una soluzione ottimale per tutti, né una strada tracciata nel segno del bene. Ognuno dovrà lottare per trovare la propria.


 

Ci sono poi Nada e Ivo, provenienti dallo stesso orfanotrofio di Omar e Sen, ma figli di una donna dissoluta che li abbandonò molto presto; eppure quella madre che parrebbe condannabile sotto tutti i punti di vista si rivelerà l’unica via di uscita dal Paese per Ivo, dopo anni di combattimento al fronte. Quando finalmente raggiungerà Nada in Italia, sui suoi occhi sarà ormai impresso per sempre lo sterminio della guerra, le sue narici continueranno a sentire l’odore del sangue, le sue mani non laveranno via i crimini commessi. Nessuno è mai vittima del tutto, né carnefice del tutto: quando scoppia una guerra il confine tra buoni e cattivi diventa sempre più labile, perché nella disperazione l’essere umano è disposto a fare qualunque cosa. A differenza di lui, Nada è ancora una bambina solitaria, presa in giro da tutti per la mancanza di un dito, quando viene caricata sul pullman che la porterà in Italia. Il suo carattere fiero e al contempo intrinsecamente convinto di non valere nulla – come afferma il suo stesso nome – la porterà ad essere l’ultima a lasciare l’istituto di accoglienza, per ribaltare poi le sorti di questa complicata e imprevedibile storia fatta di molte voci diventando la prima a consentire una rinascita.

È durante il viaggio per l’Italia che Nada conosce Danilo, uno dei pochi ragazzini che una famiglia ce l’ha ancora, ma è impossibilitata a partire con lui. Lasciando indietro il padre, la madre, la sorella e i nonni Danilo è messo spalle al muro, costretto a fare i conti con il contrasto permanente tra la fortuna di potersi salvare e il senso di colpa per essere proprio lui il prescelto. Che ne sarà di tutti coloro che restano indietro? Danilo seguirà la sua strada, riuscirà a studiare, a laurearsi, a diventare un avvocato e a sposarsi con un’italiana, ma le sue origini lo verranno a cercare anche da adulto, lasciando ferite indelebili. Sua madre è infatti una nota giornalista d’inchiesta, che non smetterà mai di battersi per raccontare la verità; anche quando, ormai al sicuro in Italia, si impegnerà a studiare il caso dei bambini non restituiti ai propri genitori bosniaci. Tuttavia, proprio quando il peggio sarà ormai alle spalle, nel momento di allentamento della tensione, Azra getterà la spugna e verrà sopraffatta da ciò che la guerra fa a un uomo o a una donna: li distrugge. Così, inaspettatamente, sceglierà di lasciare la vita, generando incomprensione e rabbia attorno a sé, ad eccezione di Nada, che nella sua semplicità di ragazzina profuga riuscirà a comprenderne tutte le ragioni.

La gente equivocava sul suicidio, a Nada era chiaro: ammazzarsi non è svalutare la vita, ma pretendere che non ci svaluti. Se il dolore è troppo intenso, l’unica libertà di cui disponi, dato che non hai chiesto di nascere, è sottrarti.

È su questa sagace riflessione che chiudiamo la nostra recensione, sebbene ci sarebbe molto altro da raccontare di queste 350 pagine pregne di eventi, riflessioni, punti di vista, fatto storici. Una letteratura che si dimostra alta tanto a livello di contenuti che di stile, con una trama ben strutturata, un tono oggettivo che non scade mai nel sentimentalismo, rigorosa attenzione ai dettagli e ritmo a tratti lento, senza però risultare mai noioso. Perché su certi episodi occorre effettivamente soffermarsi e dedicare loro il giusto tempo. Un romanzo, dunque, assolutamente consigliato.

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