Il nuovo film di Nanni Moretti floppa al botteghino, la solita trama radical-chic non funziona più
Nanni Moretti ci riprova con la solita trama radical-chic, ma questa volta non convince più il pubblico al cinema floppando negli incassi al botteghino
Il nuovo film di Nanni Moretti floppa al botteghino
Il nuovo film di Nanni Moretti, “Il sol dell’avvenire” è un tipico film morettiano, scusate il gioco di parole, ma al botteghino non va bene. Analizzando infatti il dato più recente - e cioè il ponte del 25 aprile - il film del regista romano conquista il secondo posto con 947.357 € di incasso e con 139.043 spettatori al giorno in 478 sale, con una media di soli 72 spettatori a sala, strabattuto da Super Mario Bros con 1.751.489 euro e 235.105 presenze in 576 sale.
Naturalmente, il paragone del film di Moretti con una corazzata come Super Mario Bros è impietoso ma il dato degli spettatori per sala pure. Ma veniamo al film e la sua “sociologia”. Iniziamo dagli spettatori fan di Moretti che sono facilmente riconoscibili. Intanto sono in media di una certa età. Signore con vestiti un po’ infeltriti anni ’70, capelli rigorosamente non tinti, scarpe da ginnastica, sciarpette fucsia, accento raffinato, eloquio forbito.
Parimenti gli uomini. Impermeabili color grigio topo, occhialetti alla John Lennon, generalmente alti come il regista per mimesi affettiva, con l’ombrelletto perennemente in mano anche se non piove. La loro copertina di Linus. Mangiano spesso gianduiotti che scartano avidamente sotto le luci al neon dei cinema. E veniamo al film. La trama è quella del “film nel film”, con il regista Giovanni – alter ego del regista vero - che racconta in parallelo lo svolgersi del suo film sulla crisi del comunismo e quello di un altro regista che non stima per niente che gira un film violento. Tutti e due prodotti dalla moglie Paola (Margherita Buy). Una donna complessa e in crisi.
Il protagonista del film nel film di Moretti è Ennio Mastrogiovanni (Silvio Orlando), redattore de l’Unità e segretario di una sezione del PCI di una periferia romana e innamorato della militante Vera (Barbora Bobulova). I fatti raccontati si svolgono durante la rivoluzione ungherese del 1956. L’evento è quello della visita di un circo ungherese a Roma. I circensi sono anti–sovietici mentre il PCI, con Togliatti, è filo sovietico. Questo mette in crisi Ennio che deve seguire la linea del partito a dispetto del suo sentire e quello di Vera che tifano per gli ungheresi.
Quindi Ennio decide di suicidarsi, ma alla fine Giovanni cambia il finale e cambia la Storia. Il PCI e Togliatti appoggiano la protesta dei militanti e si schiera contro l’URSS. Nel frattempo tutta la trama è pervasa dalla crisi tra Giovanni e sua moglie Paola che va da uno psicanalista per farsi aiutare a “lasciare Giovanni” e alla fine ci riesce, anche se lui vorrebbe tornare insieme. La recitazione di Moretti, ancor prima della regia, è però francamente scarsa, con uno strano salmodiare ritmico della voce che non pare neppure la sua. È come se parlasse un’altra persona rispetto al Moretti attore che conosciamo. Impostazione vocale affettata e innaturale e movimenti lenti.
Il film gioca su tutta una serie di luoghi comuni dei film precedenti, Moretti regista tirannosauro padrone del set che preso dalle sue manie e fisime maltratta gli attori e ferma la ripresa dell’ultima scena dell’altro film prodotto dalla moglie chiamando addirittura Martin Scorsese al telefono (ma c’è solo la segreteria telefonica). E poi l’utilizzo del monopattino rispetto alla mitica vespa con cui girava per la Garbatella e Spinaceto in Caro Diario. L’utilizzo della copertina di lana per vedere i film in poltrona, la devozione sacrale per i dolci strani, la solita giocata a calcio da solo.
Insomma tutti i luoghi comuni del film di repertorio morettiano che però questa volta suonano stucchevoli proprio perché un’accozzaglia di scene fuori contesto. Un puzzle del “vorrei ma non posso”, un minestrone che non amalgama gli ingredienti e restituisce acqua calda mal bollita.
Siamo lontani anni luce dai suoi film cult come Io sono un autarchico, Ecce Bombo, Bianca, Sogni d’Oro, Caro Diario, La Messa è finita, Palombella rossa, Il Caimano e anche de Il portaborse in cui recitò con la regia di Daniele Luchetti. L’età passa per tutti ma per Moretti particolarmente. Il suo è un viale del tramonto che potrebbe evitare.
Il racconto dei riti della medio-alta borghesia intellettuale di Monteverde Vecchio non convincono più. Sono sfiatati. Il popolo della Ztl, non è simpatico neppure al suo stesso pubblico. Le atmosfere villasciarresche non compiono più il miracolo, anzi risultano irritanti. Il regista chiama a sé il pubblico per farsi adorare le sue fisime ma il rito magico non funziona più. La sua traiettoria appare più quella di un “Woody Allen di Trastevere” che di un regista che in passato aveva regalato film di ben diversa caratura.