Demenza, tutti i rischi dei giocatori di calcio e football americano
Le strane e continue le morti di ex giocatori per malattie neurovegetative
Demenza, i rischi per giocatori di calcio e football americano
Il calcio e il football americano sono alle prese, da anni, con un fantasma scomodo, quello della strana ed alta percentuale di malattie neurogenerative legate alla fine di diversi giocatori professionisti. Negli Stati Uniti diversi studi ed indagini hanno fatto emergere l'insolita percentuale di encefalopatie traumatiche croniche (ECT) una volta chiamata demenza pugilistica, nelle autopsie di ex giocatori della NFL, la lega professionistica di football americano. Il Journal of the Medical Association ha reso noto un rapporto della Boston University: nel 2017 110 autopsie su 111 di ex giocatori professionisti si è riscontrata ECT. Due leggende dell’Atletico Madrid degli anni ’60, Fidel Uriarte e Txetxu Rojo, morti rispettivamente a 75 e 71 anni, entrambi affetti , da malattie neurodegenerative, che ormai sono davvero troppo comuni per nascondere il problema.
Demenza, il calcio non abituato alla pubblicità negativa
Purtroppo però il calcio non è abituato alla pubblicità negativa. Lo abbiamo visto di recente con i Campionati del Mondo in Katar con le parole ipocrite del Presidente Infantino sui diritti umani negati, o i buchi neri nei bilanci delle varie società sportive. Negli Stati Uniti la presa di posizione su questo tema è maggiore. E’ stato imposto un cambio di protocollo nel trattamento di alcuni tipi di collisioni frontali. Persino alcuni giocatori, pochi in verità, si sono ritirati da giovanissimi, per la paura di contrarre ECT in futuro. In Europa è la gran Bretagna e il suo calcio violento a manifestare più attenzione al problema.Nel 2002, è morto Jeff Astle, ex attaccante del West Bromwich Albion e della nazionale inglese a 59 anni. Astle soffriva di encefalopatia traumatica cronica. Dalla sua morte, riconosciuta come malattia professionale, è nata la Jeff Astle Foundation. Obiettivo della Fondazione è promuovere la ricerca, gli studi,promuovere la ricerca e misure per contenere i rischi per i giocatori.
Demenza, gli ex giocatori over 65 a rischio di malattie neurovegetative
Uno studio scozzese del 2019 ha confrontato su questa patologie campioni di cittadini e giocatori. I risultati sono chiari: dopo i 65 anni gli ex giocatori avevano 3,5 volte più probabilità di subire un processo neurodegenerativo. Altrettanto preoccupante ed evidente è sapere che gli 11 titolari , campioni del Mondo nel 1966, hanno , per la maggior parte avuto problemi con la demenza. Della squadra sopravvivono solo l'attaccante Geoff Hurst e Bobby Charlton, a cui è stata diagnosticata la demenza nel 2020. Altri quattro giocatori,Jack Charlton, Ramon Wilson, Nobby Stiles e Martin Peters, sono morti con patologie di demenza. Quasi il 50%. Una ricerca della East Anglia University indica che, dopo i 65 anni, il tasso di processi neurodegenerativi negli ex giocatori si moltiplica in proporzioni sconcertanti. La Federcalcio inglese avrà i dati di un'indagine che impedisce di colpire di testa ai bambini sotto i 12 anni. Già sono state redatte linee guida per tutti i livelli di calcio, compresa la Premier League, che prevedevano un numero limitato di colpi di testa in allenamento. Il problema esiste e richiede la dedizione e le risorse necessarie per affrontarlo, segnalarlo chiaramente e adottare misure preventive. Nemmeno gli sport più popolaridevono nascondere "la polvere sotto il tappeto".