La solitudine fa male alla memoria: si dimenticano i volti già noti

Gli studi sulle neuroscienze affettive hanno mostrato che sentirsi soli incide non solo sul benessere emozionale, ma anche sulle funzioni cognitive

Medicina

Sentirsi soli fa male sul piano psicologico, ma anche su quello cognitivo

 

Gli esseri umani sono animali sociali, diceva Aristotele. E uno studio internazionale lo conferma. La ricerca, condotta dal Dipartimento di Psicologia della Sapienza in collaborazione con la Bournmouth University in Inghilterra, ha dimostrato che la solitudine può influire sulla memoria riducendo nelle persone la capacità di riconoscere volti già visti. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports.

Lo studio internazionale ha dimostrato che solitudine e memoria sono collegate, soprattutto nella capacità umana di riconoscere volti già visti. Finanziato dalla società scientifica Experimental Psychology Society, lo studio parte dal presupposto che l’essere umano ha una grande necessità di connessioni sociali, un bisogno innato “di appartenere, di essere parte di”.

Il sentimento di solitudine arriva quando questo bisogno non viene soddisfatto, o per mancanza di contatti sociali o perché i contatti sociali esistenti sono insoddisfacenti. Partendo da qui, i ricercatori hanno indagato in quale misura il numero di contatti sociali e la solitudine di studenti giovani influenzino la capacità di riconoscere volti di coetanei e volti di persone anziane, entrambi sconosciuti, ma incontrati in precedenza.

La ricerca si basa su quello che in psicologia è conosciuto come l’Own Age Bias e che consiste nel vantaggio del cervello umano di riconoscere i volti di persone coetanee. L’esperimento si è diviso in due fasi: nella prima sono stati presentati agli studenti volti di giovani e anziani con espressione felice, arrabbiata o neutra.

Il punto centrale di questa fase era la memorizzazione dei volti e la loro classificazione in giovani e anziani. Quindi sono stati mostrati di nuovo volti di giovani e anziani sempre con espressione felice, arrabbiata e neutra. Metà dei volti erano stati già mostrati nella prima fase, metà no. Focus di questa fase era il riconoscimento dei volti già visti. 

“In pratica, ci siamo chiesti se la solitudine, motivando le persone a ristabilire connessioni sociali, potenzia il riconoscimento di volti felici che rappresentano segnali di affiliazione sociale, o quello di volti arrabbiati che rappresentano segnali di minaccia sociale, rispetto al riconoscimento di volti neutri di persone della propria età, viste in precedenza” ha spiegato Anna Pecchinenda, ricercatrice del team della Sapienza.

I risultati ottenuti hanno rivelato che gli studenti con bassi livelli di solitudine mostrano un riconoscimento superiore rispetto ai colleghi molto "soli" per i volti sorridenti di coetanei precedentemente visti.

Questo risultato indica un effetto della solitudine sulla memoria, cioè che la solitudine influenza la capacità di riconoscere persone a noi non familiari, che potrebbero essere importanti per stabilire connessioni sociali, e suggerisce un possibile fenomeno di perpetuazione della solitudine.   

Anche se i meccanismi che portano alla solitudine cronica siano ancora poco chiari, questa viene attribuita al fallimento dei tentativi di ristabilire connessioni sociali.

Negli ultimi anni, gli studi nell’ambito delle neuroscienze affettive hanno mostrato che sentirsi socialmente isolati incide in maniera negativa non solo sul benessere emozionale, ma anche sulle funzioni cognitive dell’individuo. Tanto che, nelle persone anziane, la solitudine cronica è stata associata a un aumento della mortalità del 20%. 

 

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