La Wunderkammer di Max Ernst al Palazzo Reale di Milano
La grande retrospettiva sull'artista tedesco è un'esperienza immersiva in uno dei più immaginifici ed eclettici talenti del Ventesimo secolo
La Wunderkammer di Max Ernst al Palazzo Reale di Milano
Una retrospettiva dedicata a Max Ernst: quale sia stata la complessità e vastità dell'impresa alla quale si sono dedicati Martina Mazzotta e Jurgen Pech lo si comprende gradualmente percorrendo le sale della mostra a Palazzo Reale e forse ancora di più sfogliando le pagine del corposo catalogo. Quattrocento opere e nove sale tematiche. Dipinti, grafiche, sculture, fotografie, gioielli, libri. Settant'anni di carriera artistica tra dadaismo e surrealismo, attraversando costanti evoluzioni linguistiche ed invenzioni tecniche, dal collage al frottage, passando per il grattage, la decalcomania e persino al dripping che sarebbe poi stato reso celebre dall'Action Painting di Jackson Pollock.
Ma ad esondare in modo lussureggiante è soprattutto l'enorme ed inesauribile immaginazione dell'artista, alimentata da una curiosità onnivora e da una assoluta libertà intellettuale. Max Ernst pittore, critico, poeta, filosofo, botanico, astronomo, patafisico, psicanalista, antropologo, alchimista e umanista di spirito rinascimentale, cittadino del mondo tra Germania, Francia e Stati Uniti. "Nelle sale di Palazzo Reale, viene squadernato l’immenso inventario iconografico dell’artista, uno strabordante vaso di Pandora, una irripetibile, magica, estraniante, colta, stimolante Wunderkammer novecentesca, di cui questo catalogo riflette la ricchezza: erbari, insetti, chimere, disegni anatomici, storie naturali, foreste di pietra, animali, fiumi antropomorfi e forme zoomorfe, mappe stellari, geometrie, uccelli", spiega il direttore Domenico Piraina.
Oedipus Rex
Ernst, il "più surrealista dei pittori e il più pittore dei surrealisti"
Per il museo milanese questa prima retrosopettiva italiana con protagonista Enrst è un'ulteriore preziosa tessera di un mosaico avviato nel 1989, con la memorabile mostra da circa mille opere sul Surrealismo curata da Arturo Schwarz, alla quale negli anni sono seguiti approfondimenti su Salvador Dalì, Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Pablo Picasso, Renè Magritte. Ora l'evento dedicato al "più surrealista dei pittori e il più pittore dei surrealisti", ma la cui libertà espressiva lo ha portato ad essere anche molto più di questo. La visita si traduce in una esperienza inebriante e vertiginosa, una sollecitazione continua di stimoli, spunti, idee, visioni. Inutile e controproducente cercare una sintesi: l'essenza stessa di Ernst esalta al contrario il valore e la necessità dell'accumulo, dell'elencazione, della giustapposizione, di una euristica paratattica.
Pietà o La rivoluzione la notte
Nella vasta e multiforme produzione dell'artista, dalla lunghissima e fertile carriera, alcune opere naturalmente spiccano poi più di altre, qualificandosi come momenti culminanti nella storia dell'arte del ventesimo secolo. La mostra milanese offre la possibilità di ammirarne un numero importante. C'è - per menzionarne alcuni - l' "Edipo Re" realizzato esattamente un secolo fa, indagine psicanalitica su desiderio, castrazione e disobbienza. C'è “Pietà o La rivoluzione la notte”, allusione alla ben nota iconografia cristiana che pare tuttavia spostare il baricentro attorno al rapporto padre-figlio, denunciando inoltre l'evidente debito del primo Ernst nei confronti di De Chirico. Ed ancora, del medesimo anno, l'enigmatico ed ermetico “Gli uomini non ne sapranno nulla”, fitto di simboli e allusioni che abbracciano astrofisica, alchimia, psicoanalisi. Tra le visioni più memorabili figura indubbiamente “L'angelo del focolare”: la Guernica surrealista realizzata nel 1937, inquietante premonizione degli orrori della guerra: "Si tratta naturalmente di un titolo ironico per una specie di trampoliere che distrugge e annienta tutto quello che incontra. Questa era la mia impressione di ciò cui il mondo stava andando incontro, e ho avuto ragione", avrebbe raccontato anni dopo lo stesso autore.
L'angelo del focolare
L'inesauribile inventiva di Ernst nelle sale di Palazzo Reale
Ma l'inventiva inesauribile di Ernst trabocca di sala in sala in immagini e suggestioni sorprendenti che si fissano nella memoria dell'osservatore come in un collage variopinto ed esuberante. La modernità seminale di “Bozza di manifesto”, 1921, le allusioni di “Giovani che calpestano la propria madre” o di un'opera nota come “Il bacio”, paesaggi surrealisti vividi come “La foresta” o sontuosi ed immaginifici come “Città intera” o “Arizona red”. Anche nella maturità Ernst dimostra una vivacità espressiva impressionante che si manifesta nel nuovo e freschissimo linguaggio di opere potenti come “Un tessuto di menzogne”, “Trentatrè bambine vanno a caccia della farfalla bianca”, “Progetto per un monumento a Leonardo da Vinci”, tutte risalenti alla seconda metà degli anni Cinquanta.
Non meno fertili gli ultimi anni dell'artista, quelli in cui a rifulgere con maggiore intensità sono due passioni che Ernst fonde in opere d'arcana suggestione: l'astronomia e la calligrafia. Il "la" è dato dalla pubblicazione del portfolio “Maximiliana o l'esercizio illegale dell'astronomia”, per il quale l'artista elabora una sua particolare scrittura segreta. Un codice straniante come una lingua di cui si è persa memoria e che Ernst sviluppa in opere successive come “Il mondo dei naives” o “Il mondo della sfocatura”.
La festa a Seillains
Al medesimo periodo appartiene un'opera che si discosta linguisticamente non solo dalle indagini astronomiche degli anni Sessanta ma anche da tutta la precedente produzione di Ernst: si tratta di “La festa a Seillans”, autentico capolavoro della sua ultima stagione, dipinto di formato inusualmente grande ispirato dalle dolcezze cromatiche della Provenza e dallo stile molecolare di Dubuffet, per molti versi prosecutore della poetica dell'artista tedesco. Una grande e vivace massa di entità polimorfe danzanti, che si abbracciano, giocano, si baciano. Un omaggio sentito e partecipato alla comunione degli esseri umani ed un inno alla gioia.
Ernst amò moltissimo questa sua opera così atipica per la semplicità rasserenante nel contenuto e nello stile, assieme alla quale si fece ritrarre più volte negli ultimi anni della sua vita. E del resto proprio l'artista affermò: "Una celebrazione è tanto rivoluzionaria quanto una provocazione".