C'è un solo modo di risolvere il conflitto Russia-Ucraina e non è in battaglia
Abbiamo il diritto di decidere se vogliamo continuare ad alimentare questa guerra o se vogliamo che il nostro Paese cessi l’invio di armi
C'è un solo modo di risolvere il conflitto Russia-Ucraina. E non è in battaglia
Mentre il Parlamento italiano approva il sesto decreto sull'invio di armi all'Ucraina e la Polonia offre i carri armati Leopard negati (almeno per ora) dalla Germania, io mi pongo per l'ennesima volta la domanda: è accettabile mettere a rischio la sicurezza di milioni di esseri umani, imporre sacrifici, distruggerne il benessere senza che quei milioni di esseri umani siano chiamati a decidere se vogliono la guerra o la ripudiano come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali?
A quasi settant’anni dalla pubblicazione del Manifesto per la Pace di Bertrand Russel e Albert Einstein, è lecito alimentare una guerra nella quale le parti belligeranti sparano razzi contro una centrale nucleare? Non è forse vero quanto scritto quasi settant’anni fa? “Dobbiamo cominciare a pensare in una nuova maniera. Dobbiamo imparare a chiederci non che mosse intraprendere per offrire la vittoria militare al proprio gruppo preferito, perché non ci saranno poi ulteriori mosse di questo tipo; la domanda che dobbiamo farci è: che passi fare per prevenire uno scontro militare il cui risultato sarà inevitabilmente disastroso per entrambe le parti?”.
Ciascuno di noi è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità: se siamo – come ci hanno insegnato – uomini liberi, abbiamo il diritto di decidere se vogliamo continuare ad alimentare questa guerra o al contrario se vogliamo che il nostro Paese cessi l’invio di armi. In un articolo intitolato "L'etica della guerra" (gennaio 1915), il filosofo britannico Bertrand Russell, convinto oppositore dell’entrata in guerra dell’Impero Britannico nella Prima Guerra Mondiale, scrisse: "La giustificazione delle guerre di autodifesa è molto comoda, poiché per quanto ne so non c'è mai stata una guerra che non fosse di autodifesa".
Non si tratta dunque di stabilire chi abbia torto e chi ragione: per questo esistono i Tribunali internazionali e gli storici. Si tratta di stabilire se noi italiani siamo davvero uomini liberi e se - prima di diventare parte belligerante - i nostri politici dovevano interpellarci. O se un signore chiamato Jens Stoltenberg può dettare la linea dei nostri governanti, mettere a rischio la nostra sicurezza, imporre sacrifici, distruggerne il nostro benessere per allargare la sfera d’influenza della NATO.
Perché questo è il punto nodale: la guerra russo ucraina è una guerra di prestigio, una “guerra per l’egemonia”, la più esecrabile nell’oscena gerarchia delle guerre, quella più deprecata da Bertrand Russell.
Chi, se non noi stessi, può fermare la guerra? Il movimento pacifista ha un’utilità proprio in tempi come questi, in cui alimentare la guerra sembra essere l’unica soluzione presa in considerazione dai nostri governanti.
La pace deve essere imposta dal basso, così come la guerra non deve essere imposta dall’alto. E spetta a tutti noi il compito di manifestare per la pace, indipendentemente dalle nostre convinzioni individuali. Perché la pace, unicamente la pace, ci consente di vivere pienamente le nostre vite di esseri umani. Perché la guerra è un crimine contro l’umanità, un ritorno alla barbarie, un mezzo di risoluzione delle controversie internazionali che i nostri Costituenti hanno ripudiato perché ne avevano sperimentato nelle loro vite tutto l’orrore.
Tutti i conflitti dovrebbero essere risolti al tavolo dei negoziati, non sul campo di battaglia; il diritto internazionale lo richiede e non c’è altro modo plausibile per risolvere le controversie emergenti dai traumatici eventi del 2014 a Kiev. Io ero in Piazza Maidan, forse l'unico italiano ammesso all'interno delle barricate e ho il diritto di raccontare ciò che ho visto: mercenari georgiani pagati dagli americani. Ma attenzione, le cose non sono mai quella stucchevole semplificazione disneyana, quel semplicistico scontro tra il bene e il male descritto dai nostri pessimi media. A Kiev la maggior parte delle persone era con i ribelli, filoamericana, illusa dai nostri pessimi politici di poter entrare a far parte dell'Unione Europea in pochi mesi.
Tutt'altra storia nell'Est dell'Ucraina. Ho visitato Donetsk nel 2012, so di cosa parlo. Città mineraria, abitata da immigrati giunti da tutta l'URSS, la città - come tutta la regione del Donbass e quella del Lugansk - era abitata da una pressoché uguale percentuale di russofoni e autoctoni di etnia ucraina. E tutt'altra storia ancora in Crimea, russofona al 90% da sempre (almeno da dopo la cacciata dei Tatari).
La scorsa settimana gli americani (questa potenza imperiale che ignora la Storia, la cultura e le aspirazioni dei popoli) hanno dichiarato che la Crimea è Ucraina. Giusto, come il Kosovo è serbo! Due pesi e due misure sempre, mistificazione, uso delle armi: il peggio del passato unito al peggio del presente: il fondo BlackRock già incaricato di gestire i fondi per la ricostruzione dell'Ucraina.
L'Italia è una povera colonia lontana dal cuore dell'impero americano e obbedisce felice, scodinzolando come un cagnolino da salotto. Lontani i tempi di Sigonella, dove Bettino Craxi tenne testa all'impero (pagandone poi tutte le conseguenze, altro che Mani pulite!). E la causa della caduta di Silvio Berlusconi non è l'età, ma il legame che lo lega a Putin, che lo ha reso inviso agli americani. Ragioni di Realpolitik ci impongono di essere fedeli all'impero. Le comprendo, mi sta bene. Ma, per favore, smettiamola di interpretare il mondo come farebbe un bimbo di cinque anni (o un idiota).