De Benedetti ha distrutto l’Olivetti con Bersani, ora demolisce la sinistra
Dalle portaerei di Repubblica e l’Espresso ha sostenuto proprio quel partito politico che ora attacca
De Benedetti e il libro con "l'aria fritta ideologica"
Da qualche giorno Carlo De Benedetti ha ammollato un libriccino dal titolo “Radicalità. Il cambiamento che serve all’Italia”. Un libello leggero, alimentato ad aria fritta ideologica, uno dei propellenti preferiti dall’Ingegnere (il direttore di Affari ne ha parlato qui).
Naturalmente De Benedetti è stato subito invitato da Lilli Gruber su La7, anche per motivi di scuderia visto che il libello gli è stato edito da Solferino di Cairo. La cosa divertente del libro è che De Benedetti spara ad alzo zero sulla politica della sinistra e dei sindacati dimenticandosi che lui è stato la “tessera numero uno” del Partito democratico e la mente poco occulta che dalle portaerei di Repubblica e l’Espresso ha sostenuto proprio quella sinistra che ora innaffia di sputi.
La vicenda della famiglia è stata riassunta anche dal condirettore di Affari. Dalla Gruber De Benedetti è andato probabilmente per presentare un nuovo programma politico sfruttando la vittoria di Elly Schlein e il libriccino è frutto immaturo del tentativo di supportare quanto dice a parole. La cosa ulteriormente divertente è che l’Ingegnere, nell’intervista, ha chiesto una “patrimoniale contro i ricchi” per poi dire che intanto lui ha la residenza in Svizzera e non la pagherebbe.
Insomma un Marchese del Grillo torinese che vuole fare – come spesso capita- il benefattore con le terga degli altri. Si tratta infatti solo di una misura auspicata per i colleghi ricchi perché –come noto- è importante l’esempio. Quello che non si dice mai abbastanza è che però Carlo De Benedetti è stato il protagonista della distruzione dell’informatica italiana e cioè di quell’Olivetti che era un fiore all’occhiello della nostra industria e per un certo tempo contese all’IBM il primato mondiale.
Un’azienda conosciuta in tutto il mondo che illustrò l’Italia non solo per la tecnologia ma anche per il nostro inimitabile design industriale del resto più volte premiato con ben sedici compassi d’oro. E fu proprio grazie alla sinistra di governo e sindacale che riuscì a fare profitto affossandola. Il periodo dell’Olivetti di Carlo De Benedetti fu deludente per i lavoratori, operai e colletti bianchi che si occupavano di informatica.
Infatti, dopo una fase di iniziale successo, con il celebre modello M24, l’Olivetti non ne azzeccò più una. Scelse e mantenne un sistema operativo proprietario, il Cosmos con la Linea 1 quando tutto il mondo andava verso Windows che poi divenne lo standard de facto. In seguito la dirigenza si fissò su una linea Lsx di minicomputer con sistema operativo Linux -like, assolutamente non competitiva con le workstation. Quando l’informatica italiana andò in seria difficoltà per la concorrenza della sua rivale Ibm De Benedetti abbandonò l’informatica al suo destino, passando ai cellulari e alle telcomunicazioni, poi all’energia e poi alla sanità indebitando pesantemente le aziende acquisite.
L’Olivetti Solutions fu venduta alla cinese Wang che la cedette all’olandese Getronics per finire a Eutelia ed infine ad Agile. Vicenda terminata con il fallimento per bancarotta fraudolenta. Questa la triste fine di quella che era una storia di eccellenza italiana. Chi però permise quello che in gergo industriale – finanziario si chiama “spezzatino”, cioè la vendita a pezzi dei pezzi pregiati di un’azienda, fu l’allora ministro dell’Industria Pierluigi Bersani, il “figlio di Bettola”, ex giovanile “angelo del fango” nell’alluvione di Firenze e soprattutto responsabile insieme alla FIOM – CGIL della distruzione nel 1998 dell’Olivetti insieme a De Benedetti.
Allora l’operazione fu possibile grazie all’influenza ideologica e pratica di Massimo D’Alema perché si era nella fase del PDS liberale che vendeva e svendeva tutto il patrimonio pubblico al primo che passava. E desta quindi meraviglia che ora De Benedetti ci faccia una pastorale proprio contro quella sinistra che lo ha fatto ricco affossando non solo un gioiello nazionale ma una intera strategia industriale.