Elezioni Torino, Carola Messina: "Damilano? Privo di idee, contenitore vuoto"
Se un marziano guardasse alle giravolte pre-elettorali torinesi di borsiste Cinquestelle e madamine progressiste, probabilmente si convincerebbe a intraprendere un giro in un’altra galassia alla ricerca di vita non dico intelligente, ma quanto meno più interessante. Non essendo un marziano, invece, ho deciso di restare nei paraggi per fare due chiacchiere con Carola Messina, la papabile vicesindaca di Torino, se vincerà il candidato del Centrosinistra Stefano Lo Russo. Lei, ovviamente, non lo può dire, perciò dissimula un po’ perché non è un uomo, quindi ha una visione decisamente più pragmatica della politica.
“Prima di tutto bisogna vincere le elezioni. E chi sarà la vice, lo deciderà poi il sindaco” mi spiega pacata, perché sa che sono duro di comprendonio. “In ogni caso mi auguro che Stefano mantenga la promessa e che quindi sia una donna. Per me sarebbe una sfida estremamente stimolante di cui eventualmente spero di essere all’altezza”.
Carola Messina fa parte della Lista Civica Lo Russo Sindaco a sostegno del candidato del centrosinistra che aggrega il Polo Civico dalla Lista Monviso, Alleanza dei Democratici, Demos e Centro Democratico. Ha cinquant’anni, un marito, due figli e un cane in sovrappeso, così si racconta. È nata a Roma, ma venti anni fa ha scelto di trasferirsi a Torino, affascinata da una città così diversa, ricca di storia, cultura e bellezza. Si definisce intollerante alle ingiustizie, quindi un po' rompiballe, anche se non vuole che la si chiami così e non capisco perché visto che lo considero un merito notevole. Si è candidata per occuparsi di politica nel senso più ampio del termine. Vuole rimettere al centro del dibattito pubblico e della politica alcuni temi urgenti, come l’educazione, la cultura, la parità di genere e i diritti. Di mestiere fa la manager culturale che, in una città come Torino, non è propriamente una passeggiata di salute. Per non farsi mancare nulla, è anche presidente della Robin Edizioni, una casa editrice. Avete presente quelle strane aziende che producono libri, ma non sono Mondadori o Feltrinelli? Esatto quella roba lì. Come ha scritto su Facebook qualche tempo fa, i libri la accompagnano da tutta la vita. Senza cultura non potrebbe vivere e, sotto questo profilo, può ritenersi molto fortunata, se non una privilegiata, per aver sempre avuto una casa piena di libri fin da piccola e di occuparsi proprio di questo nel suo lavoro. Tanto per dire come i libri siano legati alla sua vita, scopro che uno degli ultimi che ha letto quest’estate è “Liberati della brava bambina. Otto storie per fiorire” di Andrea Colamedici e Maura Gancitano, uscito per quelli di Harper Collins. Una carrellata di ritratti femminili che vogliono insegnare alle donne, tramite la filosofia, ‘come trasformare le gabbie in chiavi e volgere le difficoltà in opportunità’. E scusate se è poco. Sul DDL Zan ha chiesto senza tentennamenti che fosse approvato così com’è, senza un passo indietro. Poi, si è scagliata contro quelli che hanno imbrattato i manifesti di Valentina Sganga dei Cinquestelle, scrivendo un messaggio di solidarietà che dimostra come le battaglie per le donne non abbiano colore politico: “Se sei una donna che si espone, se sei una donna con delle opinioni, che agisce nel mondo, questo è il modo che ancora oggi si trova per contrastarti, sminuirti, offenderti, tentare di zittirti” scrive in un post su Facebook. “Frasi e aggettivi sessisti, violenti e che riportano sempre allo stesso immaginario sessuale e di sottomissione. Ma noi zitte non stiamo più. Il nostro posto nel mondo ce lo prendiamo, incoraggiate e supportate dalle altre donne e anche da tantissimi uomini. Chi pensa che così torneremo ad abbassare gli occhi e chiudere la bocca sbaglia. Noi vogliamo dare voce anche a chi voce non ne ha. La mia solidarietà a Valentina Sganga. Le differenti opinioni e posizioni politiche mai devono giustificare cose come questa”. Ovviamente non si riferisce ai talebani, ma a ominicchi tutti nostrani. (Segue...)
A sinistra, almeno a parole, ci si spertica in esercizi di parità di genere ai confini dell'equilibrismo circense, ma alla fine i leader sono quasi sempre uomini, soprattutto sotto la Mole. Ma le donne sono davvero un valore per vincere le elezioni? Provo a chiederlo a Carola Messina per capire se il suo attivismo in favore delle donne possa portare effettivamente voti determinanti per la vittoria di Lo Russo.
“Penso e spero di si, e credo fermamente che questo sia il momento di vedere finalmente rappresentati il valore, la competenza e la sensibilità delle donne che, pur essendo più del 50 % della società, spesso vengono considerate come una minoranza da proteggere” dice Messina. “Mi auguro di rappresentare al meglio questo cambio di prospettiva e tutte le donne e gli uomini che vorranno darmi fiducia”. Credo che nella testa di Carola Messina risuoni la famosa frase di Charlotte Whitton, la prima donna sindaco di Ottawa in Canada tra gli anni ’50 e ’60: “Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per venire giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile”. Certo è che le elezioni non si vincono solo con le battute, quindi mi pare inevitabile chiederle un parere sul principale avversario, il candidato del Centrodestra Paolo Damilano, e sulla sua Torino Bellissima. La risposta è abbastanza scontata, di fatto lo considera sostanzialmente privo di idee, un contenitore vuoto. Di più, sempre toccandola piano, aggiunge che non capisce quale sia il suo progetto di città, aldilà degli slogan sui cartelloni pubblicitari. Se, invece, le chiedo un pettegolezzo su Chiara Appendino, mi sbaglierò, ma ho la sensazione che non riesca a trattenere un moto spontaneo di solidarietà femminile.
“Penso che abbia pagato una generale inesperienza sua e del gruppo politico che la sosteneva” commenta benevola Messina. “Aveva promesso un radicale cambiamento che non è riuscita a portare avanti e per il quale i torinesi l’avevano votata. Sicuramente su alcune tematiche è stata invece coraggiosa e coerente, portando avanti la battaglia sui diritti civili, attraverso per esempio il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali”.
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Urca, ma vuoi vedere che, alla fine, Carola Messina non è così contraria a un dialogo con i Cinquestelle? Magari al ballottaggio, inevitabile come le tasse a sentire molti nel capoluogo piemontese, si potrebbe realizzare quella convergenza che turba i sonni di una larga parte del Pd torinese.
“Io non rappresento un partito e quindi non entro nel merito delle dinamiche di relazione fra forze politiche” mette subito le mani avanti Messina. “Io sono espressione di un pezzo di società civile e lascio ad altri esprimersi su questo. Se devo dare un parere, del tutto personale, credo che non si debba aprire o chiudere in astratto, ma basarsi solo sulle eventuali convergenze che possono esserci sulle risposte ai problemi della città, quindi programmatiche”.
Che siano le rispettabili terga di Lo Russo o Damilano (spero che la Sganga non si offenda, ma proprio non ce la faccio a inserire le sue tra i favoriti) a sedersi sulla poltrona di sindaco di Torino, sicuramente nessuno potrà ignorare la pesante eredità del debito accumulato da questa città.
“Per fortuna non sarò io l’assessora al bilancio” dice ridendo l’aspirante vicesindaca. “Da imprenditrice però dico che il debito è uno strumento che va usato e gestito. La situazione è critica da tanti anni, ma ora è davvero giunto il momento di trovare un modo per migliorare la condizione di vita dei cittadini, soprattutto perché questo sarà il momento in cui arriveranno molti fondi. Sarà fondamentale capire come verranno gestiti. Per la mia esperienza imprenditoriale posso dire che un conto è usare le risorse per investimenti veri sul futuro, strutturali, un conto è usarli per tamponare l’immediato. Credo che l’unica cosa importante sia che la gestione economica della città miri a eliminare le disuguaglianze sociali”.
Intanto, nelle ultime settimane si sono riaccese le tensioni tra Margherita Agnelli e la famiglia che si stanno portando appresso un intricato rivolo di manovre legali per rimettere in discussione gli assetti della cassaforte di famiglia “Dicembre”, di cui è a capo John Philip Jacob Elkann, presidente di Exor, Stellantis e Ferrari, che sovrintende un patrimonio di svariate decine di miliardi. Considerato che da cinquant’anni a questa parte, metà della città, non solo di sinistra, si augura che gli Agnelli se ne vadano come i Savoia, ora che lo stanno facendo davvero, mettendo anche in vendita la palazzina Fiat dello storico complesso del Lingotto di Torino che ospitava gli uffici di Gianni Agnelli e Sergio Marchionne, come la mettiamo?
“Non credo che il punto sia cosa fanno gli Agnelli” ribatte Carola Messina alla francamente me ne infischio. “Questa città possiede capacità e competenze rilevanti. Un know-how incredibile in ambito manifatturiero e nell’automotive che non può essere sottovalutato, ma anzi deve tornare a essere una leva di crescita della città. Allora mi auguro che molte aziende italiane e straniere investano a Torino su progetti innovativi, sfruttando queste competenze e che la città e la sua amministrazione creino le condizioni ideali per farlo”.
Infine, per quanto mi sia ripromesso di non farlo, non resisto alla tentazione e le faccio la domanda delle cento pistole. Lo Russo è davvero così antipatico? Qualcuno sostiene che batta addirittura Fassino. “Battere Fassino è difficile” conclude divertita. “A parte le battute, credo che un sindaco non si valuti in base alla simpatia, ma alla competenza e alla capacità di avere una visione della città e di fare squadra. Certamente l’ascolto dei cittadini, la capacità di empatizzare con le persone, di far sentire di essere presente e disponibile sono cose molto importanti e penso che Stefano stia andando in quella direzione. E comunque no, non lo è, basta conoscerlo un po’”. Se lo dice lei, un po’ mi fido.
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