Fini finì come finì, per fini non fini

Meloni, spinta dall'irriconoscibile Crosetto, è per continuare a inviare armi (e soldi?) all'insaziabile Zelensky

Di Paolo Diodati
Gianfranco Fini
Politica

Meloni, dandogli retta, continua a fare l'errore più grande che potrebbe addirittura costarle la caduta

 
È riapparso Fini. Rivendica, col garbo che gli è proprio nel parlare, i suoi meriti di traghettatore, a Fiuggi, del suo vecchio partito, il Movimento Sociale Italiano, a cui era iscritta anche la Meloni, verso la democrazia degli anti-fascisti. Fondò Alleanza Nazionale. Sullo stesso filone abbiamo oggi Fratelli d'Italia. Senza entrare nel merito delle differenze tra i tre partiti, dovute ovviamente, soprattutto all'evoluzione dei tempi, limitandomi solo al suono e al significato immediatamente evocato dai tre nomi, dico, senza esitazione, di avere una netta preferenza per il primo nome. Movimento è il termine contrario dell'immobilismo. Sociale riguarda tutta la società. Italiano limita le ambizioni di modifiche della società, a quella italiana, per non puntare troppo sul globalismo e poi finire, come direbbe Tommaso di Lampedusa, col non cambiare nulla per voler cambiare tutto.
Questa è una premessa di tipo acustico estetico.                                                                  Ma veniamo a Fini.                                                                                                                         In questi giorni tutti i giornali hanno riparlato del vecchio alleato di Berlusconi, dal quale lo divideva in modo irreparabile, così da rendere impossibile l'alleanza, la voglia d'essere "il solo uomo al comando". Molti giornali, compreso Affaritaliani, hanno pubblicato analisi sul fenomeno Fini, scomparso dopo il flop del suo ultimo partito Futuro e Libertà. Flop attribuito da quasi tutti al suo eccessivo spostamento a sinistra.
La rielezione di Casini, addirittura nelle liste del PD, con oltre il 47%, in contrapposizione con l'istrionico Sgarbi, icona della destra colta, smentisce quella tesi.
Qui ricordo che il motivo della sua fine ingloriosa è sintetizzato nel titolo di questo articolo. La pietra tombale per Fini fu lo scandalo della casa di Montecarlo.                      Meglio non parlarne.
 

A parte questa importane puntualizzazione, di Fini non m’è mai piaciuto nulla. Lo definii, sin dall’inizio, il Mike Buongiorno della politica. Con tutto il rispetto per Mike, che però, non può essere un caso, ebbe “l’onore” d’un trattato addirittura di Umberto Eco. Ecco, non capisco perché Eco non ne abbia dedicato uno anche al Re dell’ovvio in politica, al Principe delle banalità e delle cose che più scontate non si può. Il Re dell’ovvio non poteva non avere la più scontata delle ambizioni: essere il Capo. E per fare il Capo s’era specializzato nello sfasciare tutti i partiti a cui ha aderito o che ha fondato. Un vero fantasista dei più beceri e abusati modi della prima repubblica. Divenne fascista per ripicca verso quei ragazzotti che non volevano farlo entrare nella sala dove proiettavano i Berretti verdi (quale motivazione altamente filosofica!). Con Almirante gli andò bene per via anagrafica, altrimenti avrebbe cercato d’accopparlo politicamente o avrebbe fondato un altro partito “di destra, ma diverso da quello di Almirante, solo par il fatto di non aver Almirante come capo carismatico”. Ma il MSI, con le sue radici ideologiche, non poteva permettere il decollo che Fini aspirava ad avere. Lo sdoganamento di Berlusconi gli aprì prospettive insperate. Ma doveva percorrere ancora molta strada, per farsi un’immagine credibile e accettabile. 

Dopo aver definito Mussolini il più grande statista del secolo scorso, lo bollò e liquidò, come il Male Assoluto

Con le chiacchiere trionfali di Fiuggi e la nascita di Alleanza Nazionale, seppellì per sempre il Movimento Sociale Italiano. Preso dall’euforia e soggiogato dall’evidentissima superiorità di Berlusconi (nel bene e nel male: meno piatto, più dinamico, più accattivante, più fantasista, più innovatore e scompaginatore) abboccò malvolentieri, ma fece fagocitare AN dal PDL. Di fatto, quindi, sfasciò per la seconda volta un suo partito. Spinto evidentemente dalla sua ambizione e da quella dei vari e frustratissimi aspiranti neo colonnelli, se ne pentì subito, ma stette a vedere come si mettevano le cose. Scappato Casini pensò d’essere lui il Delfino. Non avendo né promesse, né segnali positivi a tal proposito, anzi, sentendo avanzare nomi nuovi (Formigoni, Alfano, Tremonti, Brambilla, qualche nuova gnocca, ecc.) trasse le conseguenze e cominciò a parlare solo per mostrare il suo disaccordo con Berlusconi. A tal punto che l’eccellente Giannelli firmò una delle sue vignette perfette: Fini si chiedeva “Come posso contraddirlo, quando sta zitto?”. E quindi dopo, in attesa di sfasciare il Futuro e la Libertà, cercava di sfasciare il PdL. Pur di realizzare la sua vendetta personale contro Berlusconi, si ficcò e cercò di ficcare chi lo avrebbe votato, in un vicolo cieco. A sinistra non poteva andare e stette inizialmente al centro, in attesa d’iniziare la vecchia politica dei due forni. Politica che era possibile per l’Api di Rutelli e l’UDC, ma che era preclusa per tutti gli ex-fascisti che aveva al seguito. Cosa poteva fare allora? Un accordo con Berlusconi o con chi prevedeva che sarebbe stato al suo posto. 

Guadagno: finanziamenti pubblici al suo partito e qualche fedelissimo in più che sarebbe stato seduto. 

Perché il filo conduttore di quasi tutte le guerre politiche di allora, di oggi e, sembrerebbe di sempre, è semplicemente questo: 

                                               “Alzati tu, che mi ci siedo io”.

Trovavo insopportabile Berlusconi quando, all’opposizione, parlava tutti i giorni di “spallata”.

Trovo insopportabile che chi perde le elezioni non sia capace di rassegnarsi ad aspettare la fine della legislatura, come sta avvenendo anche questa volta. 

Per tentare di far cadere la Meloni, la sinistra, oggi come oggi, ha un solo modo: trasformare il "neo" della Presidente, di cui ho sempre parlato, in un cancro maligno.

Spinta dall'irriconoscibile Crosetto, è per continuare a inviare armi (e soldi?) all'insaziabile Zelensky.

Crosetto usa una logica infantile e da ignorante totale di storia: dato un confine, il primo che mette il piede sul terreno dell'altro è l'invasore che anche noi dobbiamo difendere.

La Meloni, dandogli retta, continua a fare l'errore più grande che potrebbe addirittura costarle la caduta. Perché, col pericolo di uno scontro nucleare, non si può più recitare la parte degli ubbidienti ai matti.

Basterebbe che Letta, o chi per lui, si ispirasse alla fase "down" del sonnambulo Biden (quando fa cazziatoni incredibili al nazista ucraino, dicendogli in faccia che è insaziabile), dicendo che il PD, finalmente, è per la ragionevolezza.

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