Cinema
The Good Nurse, il film sulla sanità che uccide i suoi pazienti. Storia vera
Basato sulla storia vera di un infermiere killer che forse ha il record assoluto di omicidi in ospedale. The Good Nurse sta scalando le classifiche
The Good Nurse, il film non banale su come diventiamo prede della sanità. L'etica personale contro le storture del sistema. Da vedere
Finisci in ospedale per un problema curabile, sei debole, in mano ai sanitari, e un infermiere killer ti ammazza. Lo rifà con semplicità con tutti coloro che gli capitano a tiro e la struttura ospedaliera è più interessata a pararsi le terga che a bloccare il killer che viaggia da una clinica all’altra. “Adesso arriva uno bravo”, spiega una dirigente comunicando l’impiego del killer a una collega distrutta dai turni di lavoro. L’uomo ha ottime referenze, nessuno scrive relazioni negative per evitare ombre sulle proprie cliniche.
E’ la storia vera dietro il film The Good Nurse visibile su Netflix, thriller minaccioso e inquietante tratto dal libro del giornalista Charles Graeber. L’opera racconta le gesta di Charlie Cullen, detto “l’angelo della morte” americano, il killer più letale del nostro tempo con all’attivo forse 400 omicidi fra il 1987 e il 2003 (riconosciuti solo 29). Ma The Good Nurse è soprattutto un film sul rischio, la fragilità, l’essere prede inermi di un sistema che ha fatto della salute un business e sul coraggio.
Non saranno gli ospedali, le istituzioni, la giustizia o gli agenti di polizia (questi ultimi per quanto determinati si ritrovano contro dei muri di gomma) a fare la differenza ma il coraggio di Amy, una piccola infermiera che rischia di morire da un momento all’altro, le è stata diagnosticata una condizione cardiaca limite: se non riceve un trapianto di cuore in tempo morirà. E’ lei che non ha paracaduti e rischia più di tutti a non avere dubbi e meschinità: non si chiede neanche da che parte stare.
La donna, interpretata da una bravissima e bellissima Jessica Chastain, deve nascondere il suo stato di salute, non lavora in ospedale da abbastanza tempo per aver diritto all’assicurazione sanitaria necessaria per affrontare il trapianto. In una scena si vede la donna che per una sola visita con ecografia paga più di 900 dollari di tasca propria. Una bomba a orologeria perché oltre ad essere una madre single, ad avere una malattia cardiaca fatale, lavorare nelle ore notturne spingendosi a livelli di stress emotivo e fisici ingestibili, incrocia proprio il killer, Charlie, che la aiuta e la assiste con premura, entrando anche nella sua vita familiare, diventando il suo salvatore.
Si comprende alla prima apparizione che lui è il killer, il film che è avvolto da una tensione silenziosa e realistica, non gioca sul mistero di chi sia il killer, ma sul dilemma della donna/amica: come incastrare l’assassino in un sistema inerte fatto di convenienze, omertà e indifferenza. Ma c'è un secondo dilemma, forse più profondo per Amy: denunciare l'uomo che la sta aiutando e mettere a rischio se stessa e i propri figli o restarne fuori? L'etica personale di Amy si contrappone alle storture del sistema.
La maggioranza delle persone avrebbe pensato: è troppo per me, non è la mia vita, non è mia responsabilità. Invece è vero il contrario: che il sistema sia questo è anche un pò colpa della tua indifferenza e inconsistenza etica e prima o poi potresti incrociare anche tu il tuo killer.
I due investigatori sono ostacolati dai funzionari dell'ospedale che minimizzano i decessi come "eventi inspiegabili", anche se qualcuno ai vertici ha ben compreso dai referti di morte i motivi dei decessi. Il film è lo specchio dei nostri sistemi sanitari che diventati aziende sembrano difficilmente riformabili, pianificano strategie per sopravvivere sempre e comunque, grazie al marketing.
Siamo prede di un sistema delirante in cui la nostra salute è un affare e le aziende sanitarie a costo di non assumersi responsabilità scaricano le proprie incapacità su qualcun altro, in primis i pazienti inermi, tanto più negli USA dove la sanità la paghi davvero se non sei assicurato (e non tutti possono permetterselo).
Una volta i campioni di incassi erano film fantascientifici adesso lo diventano quelli sulla sanità, come questo, quasi a riprova di una diffusa percezione di pericolo. In pochi giorni The Good Nurse è arrivato in cima alla classifica dei più visti sulla piattaforma Netflix.
Non è un film per “bimbiminkia” del nostro tempo, direbbero i più cattivi, né è una serata per amebe della società di consumi. Non è intrattenimento, non si è avvolti da un ritmo forsennato fatto di incredibili colpi di scena a ripetizione, come si fanno oggi i film, ma dalla durezza e dai pericoli reali che viviamo nel mondo costruito intorno a noi.
Duro e fermo come sanno essere gli autori danesi, lo si percepisce anche dai colori pallidi della fotografia, il film vede alla regia Tobias Lindholm, autore che ha lavorato anche con Thomas Vinterberg nel bellissimo Il Sospetto, e in Mindhunter.
Eddie Redmayne è il killer insidiosamente ammaliante e premuroso, Jessica Chastain l’infermiera. Attori mai sopra le righe ma interpreti di un’ottima sceneggiatura scritta a quattro mani da Krysty Wilson-Cairns e Charles Graeber. Le location sono minime a dimostrazione che con ottimi autori e interpreti si può fare grande cinema anche con l’essenziale.