Gallerie, "sicura" solo una su cinque. Ma Salvini pensa al Ponte sullo Stretto

Mentre in Italia il 19% delle gallerie non rispetta pienamente i termini di sicurezza, Salvini si diverte da Vespa con il plastico del Ponte sullo Stretto

di Ulisse Spinnato Vega
Politica

Gallerie, "sicura" solo una su cinque. L'indagine choc sullo stato dell'arte dei tunnel in Italia

Mentre Matteo Salvini si balocca da Bruno Vespa con il plastico del Ponte sullo Stretto, il suo ministero ammette, nero su bianco, che solo una galleria su cinque, lungo le principali arterie italiane, è conforme ai “requisiti minimi” di sicurezza. Il dato, aggiornato a giugno dell’anno scorso, fa impressione anche se non è un fulmine a ciel sereno. E ci racconta della condizione di vetustà in cui continua a versare la nostra rete infrastrutturale per il trasporto su gomma, a quasi cinque anni dalla tragedia del Morandi di Genova.

L’analisi sui 465 tunnel italiani inseriti nella rete transeuropea Tern (Trans european road network, ndr) arriva dalla Commissione permanente per le gallerie, organo tecnico inquadrato dal 2021 in Ansfisa, l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali che fa capo appunto al Mit e che nacque nel 2018 proprio grazie al Decreto Genova.

La relazione firmata dal presidente della Commissione, Emanuele Renzi, e trasmessa alle Camere con la controfirma dello stesso Salvini, è il documento annuale che il ministero deve inviare al Parlamento in ottemperanza al decreto legislativo del 2006 che attua la direttiva Ue del 2004 sulla sicurezza delle gallerie Tern. Uno studio importante per l’affidabilità dei trasporti che ora risulta essere stato vagliato pure dal Servizio per il controllo parlamentare di Montecitorio.

Sui 465 tunnel citati, 416 sono aperti al traffico e 49 ancora in progettazione. Ma dei 416 solo 81, ossia il 19%, rispettano i requisiti “minimi” di sicurezza, stabiliti proprio dalla norma del 2006 e applicati alle gallerie della rete europea lunghe oltre 500 metri. Mentre gli altri 335 non sono ancora “pienamente conformi”. La relazione precisa comunque che per ulteriori 81 gallerie i 19 gestori coinvolti hanno già dichiarato la fine dei lavori di adeguamento e sono in attesa soltanto della “formalizzazione dell’istanza di autorizzazione alla messa in servizio”. Per cui, l’efficienza sarebbe di fatto garantita, anche se ancora non vidimata su carta. 

Tirando le somme, tuttavia, quando viaggiamo attraversiamo appena 162 gallerie davvero affidabili sulle 416 considerate. Non un gran sollievo. Certo, un decreto del governo Draghi ha dato respiro ai soliti concessionari e ha diluito i termini temporali per raggiungere i target di conformità ai requisiti, fissandoli alla fine del 2025 per i tunnel Tern e addirittura al 31 dicembre 2027 per le infrastrutture subentrate nel network solamente nel 2014 (a seguito di un regolamento Ue del dicembre 2013).

Inoltre, la relazione tende a smussare l’allarme con una postilla: “Si evidenzia che la condizione di non completo adeguamento non significa assenza di misure di sicurezza per le gallerie italiane. I singoli requisiti, sebbene non ancora pienamente conformi, presentano un grado di conformità dichiarato dai gestori comunque piuttosto elevato”.


Il problema, però, sta sempre in quel “dichiarato dai gestori” che tradisce la posizione dell’autorità concedente, ossia il ministero, costretta nella stragrande maggioranza dei casi a verifiche per tabulas, fidandosi di quanto riporta la società concessionaria. Certo, le visite ispettive presso le gallerie si sono intensificate negli ultimi anni e sono arrivate a quota 60 dal luglio 2021 alla fine del 2022. Ma parliamo comunque di una media di tre o quattro al mese: numeri molto piccoli rispetto alla rete italiana. Tra i gestori coinvolti ci sono ovviamente Anas, Aspi e Gavio, per citare i nomi più noti.

E tutti ricordano che secondo Autostrade per l’Italia anche il Ponte Morandi era pienamente affidabile prima del crollo del 14 agosto 2018. Per carità, nessuna generalizzazione, proprietà transitiva automatica o processo alle intenzioni, anche perché i concessionari sono costretti ad adottare misure di sicurezza “temporanee minime” in attesa della finalizzazione dei progetti di adeguamento. Ma è chiaro che in queste condizioni, e facendo i debiti scongiuri, l’imponderabile va sempre tenuto in conto.

I gestori, secondo la relazione della Commissione per le gallerie, continuano ad addurre le solite motivazioni per giustificare i ritardi: l’elevato numero di tunnel, legato alla specificità morfologica del suolo italiano; la vetustà delle nostre infrastrutture; le mutate condizioni economiche e di scenario rispetto alla direttiva Ue che risale al 2004 (ma i concessionari hanno realizzato margini spropositati negli anni). La Commissione Ue, però, non l’ha bevuta e nel 2019 ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia. Insomma, mentre a Porta Pia ci si gingilla con i plastici, gli italiani che viaggiano sperano sempre di raggiungere quella benedetta luce in fondo al tunnel.

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