Giansante: "Ecco la ricetta della leadership. Ma attenzione al lato oscuro"
Nel suo nuovo libro, il socio dello studio Comin & Partners analizza il tema della leadership attingendo a diverse aree di studio
GIansante: "Ecco l'identikit del leader"
"Le persone seguono più volentieri un leader che si impegna per il gruppo e che non si approfitta dei suoi privilegi". Qual è l'identikit del leader? Esiste una cifra stilistica che accomuna Winston Churchill e Marco Aurelio? C'è una formula scientifica per delineare la figura del potente, amato dal popolo, seguito, capace di coinvolgere le masse? È la domanda da cui è partito Gianluca Giansante, socio dello studio di comunicazione e relazioni istituzionali Comin & Partners e professore di comunicazione digitale e reputazione istituzionale all’Università Luiss Guido Carli, per scrivere il suo ultimo volume, "Leadership - Teorie, tecniche, buone pratiche e falsi miti" (Carocci editore, 184 pagine, 15 euro). Giansante è autore di vari saggi su comunicazione e costruzione del consenso e nella sua ultima opera ha scelto di ribaltare alcuni luoghi comuni sull’argomento attingendo alle conoscenze di diverse aree di studio – dalla psicologia sociale all’antropologia, dalla biologia alla storia – per indagare un campo che è per sua natura complesso e multidisciplinare.
Giansante, in che cosa si differenzia il suo libro rispetto ad altri volumi sullo stesso tema, già presenti sugli scaffali delle librerie?
Molto spesso, entrando in libreria, troviamo saggi di personaggi di successo del mondo dell’impresa, dell’economia e dello sport che dispensano i loro segreti. In questo libro, invece, ho provato a verificare cosa dice la scienza sulla leadership, cioè quali sono le caratteristiche che consentono di far crescere la fiducia nel leader e quelle che, invece, la fanno perdere.
La figura del leader è un tema che abbraccia la storia dell'uomo: qual è la caratteristica che accomuna tutti i grandi di ieri e di oggi?
Ci sono varie caratteristiche che tutti gli studi scientifici confermano, ma credo sia utile sottolinearne una. Le persone seguono più volentieri un leader che si impegna per il gruppo, che non cerca il tornaconto personale, qualcuno che non si approfitta dei suoi privilegi, ma mette il proprio impegno al servizio della comunità che intende guidare. È una regola apparentemente semplice ma che vediamo violata molto spesso.
La leadership è immanente? Uno come Winston Churchill o Marco Aurelio avrebbe lo stesso charme anche ai giorni nostri permeati dai social e dalla liquidità delle informazioni?
Questo è un punto fondamentale: non esistono leadership valide in assoluto. Ogni epoca, ogni comunità, addirittura ogni singolo gruppo si basa su regole ben precise che è opportuno seguire per poter svolgere con efficacia il ruolo di leader. È il punto principale della leadership: per poterla esercitare è necessario osservare le regole condivise, che variano a seconda del contesto. Sono diverse, infatti, se si vuole guidare un’associazione di imprenditori o un collettivo studentesco. Certamente alcune caratteristiche, come il coraggio di Winston Churchill e l’umanità di Marco Aurelio, sono ancora oggi fondamentali per esercitare la leadership.
La leadership ha anche un lato oscuro, quale?
La gestione del potere, come ha detto in modo molto efficace Papa Francesco, “è come bere gin a digiuno”: ti fa girare la testa, ti fa perdere l’equilibrio. Diversi studi scientifici hanno studiato questo fenomeno a livello biologico. Il potere “appanna” i neuroni specchio, cioè quelli che sono responsabili dell’empatia e quindi della comprensione dell’altro. Gestire grandi responsabilità è quindi un lavoro per certi versi “usurante”.
Come possiamo vaccinarci da questo rischio?
Anche qui ci viene in soccorso la scienza: da soli non ce la possiamo fare, l’unico antidoto è avere accanto qualcuno capace di tenerci con i piedi per terra, di riportarci alla nostra umanità, di dirci anche dei no. Per Winston Churchill ad esempio fu importante il ruolo della moglie, in altri casi può essere un collaboratore, un familiare, un amico. È importante tenerli vicini. Gli antichi romani, come è noto, avevano istituzionalizzato questo ruolo. Quando i generali, tornando in trionfo dopo una vittoria militare, venivano accolti dalla folla, c’era il rischio che si “montassero la testa”. Per questo venivano affiancati da uno schiavo fra i più umili, che gli sussurrava all’orecchio: “ricordati che sei un uomo”. È un ruolo importante, che non va sottovalutato”.