Il criptico ritorno di D'Alema. Né con Schlein, né con Meloni...
Baffino è rimasto all'epoca di Togliatti
Il ritorno di D’Alema tra Meloni e Schlein
E così è ritornato. Ogni tanto lo fa, per vezzo e mestiere e magari per segnare il territorio in momenti così confusi per la sinistra. Oppure perché si annoia.
E così, qualche giorno, fa stimolato anche lui dal vento del 25 aprile ha rilasciato una intervista a Repubblica, giornale con cui ha intessuto sempre un rapporto di odio e amore.
Sulla nuova segretaria Elly Schlein ha detto che: “Ha il compito di rilanciare, di rianimare il partito, per evitare che un iscritto possa commentare in questi termini sarcastici, come mi è capitato di sentire – e cito testualmente- l’esito congressuale: dopo avere perso le elezioni, il Pd ha perso anche le primarie, il Pd ha votato contro se stesso”.
Frase piuttosto involuta, che promette segreti ma poi –a guardare bene- non svela nulla di nuovo.
La Schlein in fondo è una sua collega, anche lui è stato segretario del Pds.
Ma i dalemologi di chiara fama, consultati all’uopo, concordano quasi tutti che la frase sibillina rivolta alla Schlein non sia esattamente un complimento. Le riconosce che la sua venuta è stata accompagnata da “una ventata di fiducia che interrompe e ribalta una fase di forte depressione a sinistra”, ma poi –dopo il confettino indoratore-riaffonda:
“il dibattito pubblico si concentra su temi come l’immigrazione, i diritti civili, l’omosessualità, la maternità surrogata, perché le vere grandi questioni sono precluse alla politica, sono già predecise altrove. La crescita delle diseguaglianze è legata a fenomeni che la politica non è in grado di affrontare, arginare e regolamentare”.
Insomma, traducendo: “a me, me ne cale poco dei dibattiti sociali, io vengo da roba seria, dalle lotte per comuniste per i lavoratori”.
E poi l’ex presidente del Consiglio vira sapendo di virare, verso un terreno minato, cioè quello della destra e così si esprime:
«La destra ha vinto le elezioni sulla base di un programma per certi versi, assai coraggioso: difendere la sovranità nazionale dalla globalizzazione, sfidare il potere economico transnazionale, contenere il potere di Bruxelles e della Bce…».
E qui anche gli esegeti più scaltri e affilati del D’Alema –pensiero vanno (temporaneamente) in crisi.
Che baffino abbia votato per la Meloni?
No, perché in questi tempi matti e disperatissimi tutto può succedere. Hai visto mai, magari solo per fare un dispetto al “toscano maledetto” che non è Fanfani ma Matteo Renzi. Oppure D’Alema si sarà ricordato del suo periodo “fascio” in cui privatizzò con Rosy Bindi la Sanità introducendo l’intramoenia e devastando il mercato del lavoro con il precariato? Tutto è possibile.
Ma poi no, lui caritatevole leva le castagne dal fuoco ideologico e chiarisce che quel programma, quello della Meloni per intenderci, lei non l’ha seguito davvero e che quindi: “Risultato? Oggi il principale elogio rivolto alla Meloni è di avere abbandonato il suo programma”.
Insomma non si capisce bene l’intemerata Dalemiana, peraltro organizzata misteriosamente sulla pagina locale di Bari di Repubblica, ma una cosa è chiara: lui non parteggia per nessuna delle due femmine alfa al centro della politica italiana: né per la Schlein né per la Meloni.
Dato come sono finiti i suoi endorsement passati le due traggono un sospiro di sollievo.
Non le ama e non le odia, ormai D’Alema, stoico senechiano, vede il mondo per quel che è. È un uomo del passato, questo non è più il suo tempo. Lui è uno che è stato sulle ginocchia di Togliatti, milioni di anni fa, al tempo in cui “i dinosauri si mordevano la coda”.