Pd: capigruppo, segreteria, guerra e diritti. Schlein è già in affanno

Tra le nomine dei capigruppo e la nuova segreteria, Schlein cerca di non scontentare nessuno ma nel Pd c'è già malumore

di Paola Alagia
Elly Schlein PD
Politica

Pd, Elly Schlein: dalle piazze ai palazzi

Un conto è la piazza e un altro la vita politica nei palazzi. Se sul primo fronte, è evidente, la neosegretaria del Pd, Elly Schlein, non teme rivali ed è riuscita a mettere nell’angolo persino i Cinque stelle che proprio dal movimentismo e dai vaffa hanno tratto linfa vitale, in Parlamento la musica cambia. Non a caso qui, a neanche un mese dalla proclamazione nei gazebo, la nuova leader comincia a fare un po’ di fatica. Intanto sul fronte dell’organigramma, ancora in gran parte da completare. Manca, innanzitutto, la segreteria. Al momento, come conferma una autorevole fonte dem ad AffariItaliani, però, non c’è traccia di alcuna convocazione della direzione per sciogliere questo primo nodo.  

E a seguire c’è da giocare per intero l’importante partita dei capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama, sulla quale per ora regna lo stallo. “E non è un problema secondario”, si sfogano col nostro giornale, “visto che da una salda guida dei gruppi discende pure una politica chiara”. Soprattutto, questo è il non detto, visto che a sedere in Aula sono eletti non scelti da Schlein. Antico problema che si ripropone sempre in casa Pd. Senza andare troppo lontano, ne sanno qualcosa gli ultimi segretari Enrico Letta e Nicola Zingaretti.

Motivo, quest’ultimo, per cui nella cerchia dei fedelissimi di Elly è forte il pressing perché “la segretaria faccia valere la vittoria della sua mozione”: “Se avesse vinto Bonaccini – argomenta un parlamentare vicino a Schlein – non si sarebbe fatto tutti questi problemi. Giustamente, c’è chi vince e c’è chi perde. Una vittoria avrà dunque un peso o no?”.

Una linea di pensiero niente affatto isolata dalle parti della maggioranza dem che spinge per intestarsi le presidenze dei deputati e senatori democratici, lasciando, con Brando Benifei, il capogruppo al Parlamento europeo all’area Bonaccini. I nomi in pole, si sa, sarebbero Francesco Boccia per la guida del gruppo al Senato e Chiara Braga o Beppe Provenzano per quello alla Camera. Non è escluso, però, che la spunti qualche bonacciniano (si rincorrono i nomi di Alessandro Alfieri, che è stato portavoce della corrente Base riformista, o di Graziano Delrio per Palazzo Madama e di Simona Bonafè per Montecitorio).

La decisione finale spetta a Schlein. Una cosa è certa, però: qualunque essa sia, rischia di lasciare sul campo numerosi scontenti. Il fronte della minoranza, infatti, segue con attenzione la vicenda e la considera anche una sorta di test sulla leadership di Bonaccini: “Se non chiude un pacchetto in cui ci sia un equilibrio complessivo non solo nel partito, ma pure nel rapporto coi gruppi – si sfoga un parlamentare dietro garanzia di anonimato – è chiaro che potrebbero esserci problemi. Mettiamola così: è un passo importante, ragione per cui c’è un’attenzione che non è ancora tensione, ma potrebbe diventare tale”.

Un avviso a Bonaccini, ma pure alla stessa Schlein, visto che “non è mai accaduto che un segretario rovesciasse il tavolo in maniera drastica e automatica. Neanche il Renzi prima maniera pretese la sostituzione di Speranza da capigruppo. E lo stesso Letta lasciò poi la scelta all’autonomia dei gruppi”.

L’inquilina del Nazareno, però, ha le sue grane da affrontare pure sul piano più strettamente politico. C’è, tanto per cominciare, il sempreverde tema della guerra in Ucraina. Domani e mercoledì, infatti, la premier Giorgia Meloni è attesa in Parlamento in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. Il Pd è alle prese con la stesura della sua risoluzione ma, per quanto voglia, Elly su questo terreno non può sconfessare il sostegno militare a Kiev.

Inevitabilmente, già sa di partire in difficoltà rispetto al partito di Conte. In ambienti dem raccontano ad Affari che l’orientamento sarà “spingere sul tema del sostegno alla popolazione. E’ chiaro che oggettivamente per il M5s il gioco è più facile – spiegano – ma anche lì, a volerla dire tutta, non mancheranno le furbizie. I Cinque stelle potranno insistere sul non concedere nuovi invii di armi, ma c’è da scommettere che il loro testo non conterrà la richiesta di ritiro del precedente decreto sulle armi”.

Che dire, infine, delle materie eticamente sensibili? E’ un fronte sul quale la segretaria dem non ha intenzione di fare sconti a nessuno - la piazza di sabato a Milano per i diritti ai figli di genitori Lgbt, d’altronde, ne è stata la prova -, ma su cui al tempo stesso non trova davanti a sé un’autostrada spianata. Un conto sono le promesse della segretaria tra la gente e un altro, infatti, sarà portare a casa risultati concreti. I cattolici del Pd, non a caso, hanno già fatto trapelare il proprio malumore. Con tanto di semaforo rosso rispetto a questioni quali maternità surrogata e utero in affitto.

In realtà non è solo o, per lo meno, non è tanto questo il punto, come spiega ad Affari il senatore della minoranza dem e un tempo esponente della corrente di Base riformista, Enrico Borghi: “Non ridurrei la questione ad una anacronistica divisione tra laici e cattolici. Qui siamo di fronte a un tema di approccio antropologico che riguarda i confini dell’etica e della bioetica, in un’era in cui la tecnologia ha già di fatto sdoganato l’eugenetica. Un tema – rimarca - rispetto al quale occorre grande capacità di ascolto reciproco e assenza di dogmaticità. E’ una questione di metodo che vale anche tra le forze politiche perché un bipolarismo muscolare su temi profondi e delicati è quanto di più sbagliato per trovare delle soluzioni”.  

In sintesi, il messaggio di Borghi è nitido: “Schlein ha vinto le primarie su una piattaforma chiara, credo che sia scontato e naturale che lei porti avanti il suo programma, ma vittoria non significa automatica traduzione nei fatti di una linea di principio”.

Tutt’altro è, invece, il pensiero dominante nella cerchia di Schlein. Qui hanno subito bollato come “strumentali” le prese di posizione che si sono levate soprattutto dal fronte cattolico: “Punto numero uno: il Pd si è rivelato il partito dei diritti più della sinistra italiana già con la segreteria di Enrico Letta – osserva un deputato della maggioranza dem -. E punto numero due: qui stiamo discutendo solo e soltanto di diritti dei bambini, non scherziamo su queste cose”.

Ecco, appunto, come detto, quanto è distante l’applauso in piazza dal risultato politico. E, quindi, quanto è lungo il cammino che attende l’inquilina del Nazareno. Per dirla sempre con Borghi: “Bisognerà passare dalla fase delle declamazioni di principio a quella raziocinante della costruzione certosina delle proposte. Ecco tutto”. Che non è poca cosa…

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