Pd, Cuperlo: “4 candidati di sinistra. Il mio atto di lealtà, senza correnti"

"Nel congresso dovremo fare quella discussione seria troppe volte rinviata e il Qatar-gate impone anche una nuova questione morale"

Di Lorenzo Zacchetti
Politica

Congresso Pd, intervista a Cuperlo: "Sono almeno 30 anni che gli operai non ci votano più"

 

Gianni Cuperlo è stato l'ultimo, in ordine di tempo, a candidarsi alla segreteria, dopo Paola De Micheli, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. Presidente della Fondazione Pd, parlamentare e membro del Comitato costituente del “nuovo” Partito democratico, rappresenta la radice storica di uno dei fondatori (i Ds) e quindi un'identità messa in discussione da anni piuttosto turbolenti, sia sul fronte interno che nel rapporto con gli elettori.    

Dopo le numerose sconfitte elettorali, il crollo degli iscritti e i sondaggi che danno il Pd come terzo partito, distaccato dal M5S, c'è ancora speranza di rilanciarlo? E come?

“Più che di una speranza, parlerei di una premessa. Di fronte a questi dati, abbiamo il dovere di fare finalmente una discussione seria, che abbiamo rinviato per troppo tempo. La sconfitta del 25 settembre è stata la più severa, anche perchè si è tradotta nell'ingresso della fiamma a Palazzo Chigi, ma prima ce ne erano state appunto altre: il referendum del 2016, le politiche del 2018 e in mezzo le dimissioni di Zingaretti, ultimo segretario eletto con le primarie, che ha detto di vergognarsi di un partito che discuteva solo di cariche, mentre gli italiani erano alle prese con la seconda ondata del Covid. Una successione di traumi, che però non ha mai determinato la volontà di capire perchè il Pd ha perso sei milioni di voti nell'arco dei suoi 15 anni di vita. Perso che il modo migliore di restituire speranza al popolo del centrosinistra sia dimostrare che, almeno stavolta, il congresso servirà per affrontare i problemi che in questi anni sono rimasti irrisolti. Oggi la priorità è fare opposizione a questa destra, ma nel contempo dobbiamo mettere le basi per la costruzione di un'alternativa”.

Eppure, finora la discussione è stata polarizzata sui nomi: ci sono davvero le condizioni perché in questo congresso si sciolgano i tanti nodi sull'identità del Pd?

“Me lo auguro e il contributo che vorrei dare io va esattamente in questa direzione. Penso che sia stato un errore sovrapporre la fase costituente di questo nuovo partito alla discesa in campo delle candidature, perchè inevitabilmente si è spostata l'attenzione sui nomi, invece che sull'agenda dei temi da discutere. La mia scelta (secondo alcuni tardiva, ma non per questo non consapevole) è stata proprio quella di porre sul tavolo le questioni che dobbiamo affrontare, al di là del nome del candidato. Questioni che, oltre all'opposizione alla destra, hanno a che vedere con un'altra concezione del partito. Non dei suoi valori, che restano quelli di sempre, ma del suo modo d'essere, della forma che si è dato, di come si discute e si assumono decisioni, di come si coinvolgono gli iscritti, di come si formano e selezionano i gruppi dirigenti a ogni livello. Ecco, se questa volta non affrontiamo questi problemi, rischiamo di sciupare quella che è forse l'ultima occasione per mettere in sicurezza questo progetto”.

La sua candidatura è stata criticata da chi sostiene che spezzerebbe il fronte della sinistra Pd: ma c'è davvero una differenza tra la sua proposta e quella di Elly Schlein?

“Il tema non è spezzare l'unità della sinistra. La sinistra è presente in tutte le candidature. Stefano Bonaccini è un uomo di sinistra con le sue idee (che in parte condivido e in parte no), Elly Schlein è una donna di sinistra e lo stesso vale per Paola De Micheli. Il nostro congresso è diviso in due fasi. La prima è riservata al voto degli iscritti (o di quanti aderiscono alla fase costituente entro il 20 gennaio) e secondo me in questa fase la ricchezza di proposte, piattaforme e punti di vista è un elemento che arricchisce la discussione e il pluralismo, non certo che li impoverisce. Poi le regole prevedono che le due candidature con il maggior consenso vadano alle primarie aperte: vedremo quali saranno e a quel punto ciascuno sceglierà. Avendo maturato una certa esperienza nella sinistra di questo Paese, dico che la sinistra è una cosa grande, vasta, articolata: non si può pensare che la discussione sia un problema. E' bene che ciascuno esprima le proprie convinzioni sul piano politico, etico e culturale. Per questo ho ritenuto di presentare la mia candidatura come atto di lealtà nei confronti del mio partito e anche come contributo agli altri candidati già in campo”. 

Ma tra questi c'è qualcuno che sente più affine di altri? Sono vere le voci su un suo possibile avvicinamento a Paola De Micheli?

“No, siamo appunto in una fase nella quale è bene che ciascuna candidatura discuta il proprio punto di vista con gli iscritti e gli altri candidati. Non ridurrei il tutto a un gioco di accasamenti e di bandierine da piantare. Ognuno farà le sue valutazioni. Alcuni dirigenti di primo piano le hanno già fatte, dichiarando il sostegno a questo o quel candidato. Io ho profondo rispetto per tutti. So di non avere dietro di me particolari potentati ne' correnti organizzate, ma non lo dico per lamentarmene, bensì per spiegare la mia scelta: ho avanzato una proposta che parla alle persone, soprattutto a quelle che si sentono deluse e orfane di una rappresentanza culturale e politica dentro questo dibattito. Da quando ho ufficializzato la mia decisione, quasi tutti quelli che mi hanno contattato mi hanno detto che inizialmente avevano deciso di non partecipare all'ennesimo congresso basato sui nomi, ma che in questa quarta candidatura hanno visto una possibilità di partecipazione, per uscire dalla crisi nella quale ci troviamo. Questo mi ha molto colpito e già mi sembra un elemento arricchente del dibattito”.

Potrebbe rispecchiarsi in questo ragionamento anche la componente di Articolo 1, che pare prossima al rientro nel Pd e non è certo lontana dalle sue posizioni?

“Non lo so, io ho grande rispetto per loro e saranno loro a decidere se e come collocarsi in questa discussione. Oggi ho letto un'intervista a La Stampa di Pierluigi Bersani, che a domanda specifica risponde che c'è un mese di tempo e vuole aspettare di ascoltare dai candidati delle risposte nette su alcuni temi, dalla forma-partito alle alleanze, passando per le politiche per il lavoro. Ha perfettamente ragione. Non mi sottraggo affatto al dovere di ciascun candidato: esporre la propria idea della politica e del ruolo che il Pd dovrà svolgere in futuro”.

Partiamo dalle alleanze: lei si è espresso a favore del mantenimento dell'asse con il M5S. Invece con il Terzo Polo non c'è nessuna possibilità di dialogo?

“Sul tema ho detto una cosa un po' diversa. In questo momento vedo il rischio che, di fronte alle difficoltà del Pd, sia il M5S che il Terzo Polo puntino a sottrarci il massimo dei consensi possibile, così da porre le basi per un'alleanza con diversi rapporti di forza, dopo le elezioni europee del 2024. A mio avviso questo è un ragionamento di corto respiro e miope. Nel rispetto delle differenze reciproche, la ragione che dovrebbe unire le forze di opposizione è rendere più solido il contrasto alle scelte della destra al governo. L'avversario non siamo noi, è dall'altra parte. Detto ciò, tocca al Pd costruire una sua autonoma iniziativa politica e una sua identità, capace di intercettare il consenso smarrito per strada. Il primo punto all'ordine del giorno del congresso deve essere una domanda: perché abbiamo perso i sei milioni di voti di cui parlavamo prima e come possiamo recuperarli?”.

Qual è la sua risposta?

“Da diversi anni, all'indomani di ogni consultazione politica leggiamo lunghi editoriali che ci spiegano che gli operai hanno votato più a destra che a sinistra. Ma la verità è che questo accade da almeno trent'anni e non solo in Italia, ma in tutta Europa. In Germania il partito con più voti degli operai è Alternative für Deutschland, mentre la Spd è solo terza, dietro anche alla Cdu. In Francia invece il più votato dagli operai è il Front National di Marine Le Pen. Quando la sinistra europea ha iniziato a perdere il consenso degli operai, invece che porsi il problema di come recuperarlo ha ritenuto di poter compensare l'emorragia con la conquista del ceto medio. La scelta di rappresentare queste categorie ha inciso anche sulle nostre politiche economiche e redistribuitive, come si vede dalla timidezza con la quale per troppo tempo abbiamo affrontato il tema di una seria riforma fiscale, in un Paese nella quale l'evasione è a livelli stellari. Io penso quindi che il Pd debba riscoprire la sua radice di parte. Intendo dire che bisogna parlare un linguaggio più comprensibile a tutti. Dobbiamo avere come valori di riferimento la giustizia sociale, l'uguaglianza, la libertà individuale, i diritti e doveri della persona, ma poi dobbiamo essere anche capaci di dire quale parte di società vogliamo rappresentare. Questo è il compito che oggi spetta al Pd, se vuole ricostruire il suo rapporto con alcune parti della società italiana”.

In questa dinamica congressuale e di ripensamento, quanto inciderà il Qatar-gate?

“Rispetto alla dinamica congressuale non lo so, ma spero che non incida. Tuttavia, non è possibile fingere che non sia una questione che ci riguardi. Fatte salve le doverose frasi di rito sul fatto che la magistratura debba procedere e fare piena chiarezza, è evidente che una nuova questione morale è penetrata anche dentro la sinistra. Questo è un fatto grave per tante ragioni: lo scandalo colpisce l'idea dell'Europa, i suoi principi e valori fondamentali, il rispetto dei diritti umani ed inoltre intacca la trasparenza e la dignità che riguarda la gran parte (quasi la totalità) dei nostri amministratori, sindaci e parlamentari. E' una ferita aperta e la cosa peggiore da fare sarebbe fingere che non esista: nel congresso si dovrà discutere anche di come la forma-partito e le regole della politica, anche in termini di finanziamento pubblico, consentano di evitare queste degnerazioni. Uno degli anticorpi fondamentali è un partito fondato sulla partecipazione larga dei propri iscritti e non rinchiuso unicamente dentro il perimetro delle istituzioni: questo tipo di controllo ha sempre rappresentato un elemento di garanzia”.

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