Qatar-gate: "Borsone con 50-60mila € di Giorgi". Kaili svela altri dettagli

La ex vicepresidente Ue sapeva del blitz della polizia e voleva che suo padre si occupasse della figlia: "Nella valigia coi soldi ho messo anche i biberon"

Francesco Giorgi ed Eva Kaili
Politica

Qatar-gate, Kaili scarica Giorgi: "Non mi fido più di nessuno"

Eva Kaili parla e inguaia sempre di più il suo compagno Francesco Giorgi per lo scandalo Qatar-gate. "So che mio marito - dice la ex vicepresidente Ue agli inquirenti e lo riporta Repubblica - stava custodendo qualcosa per il suo vecchio capo, Antonio Panzeri, e forse anche per il suo attuale capo, Andrea Cozzolino". Eppure non sapevo cosa né perché: "Non credo di fidarmi più di nessuno dopo quello che è successo". La linea difensiva di Eva Kaili fa perno qui, sulla giustificazione che quanto avvenuto sia stato il frutto di macchinazioni nell’ombra organizzate da Panzeri e dal suo compagno Francesco Giorgi. Traffici di cui, sostiene, lei stessa non voleva sapere. Nel primo verbale rilasciato agli inquirenti, l’eurodeputata greca del Pasok ed ex vicepresidente del Parlamento europeo, finita in carcere con l’accusa di corruzione e riciclaggio nell’inchiesta Qatar-gate, ha dovuto spiegare molte cose ai due agenti della polizia giudiziaria di Bruxelles che l’hanno interrogata.

"Dopo che il mio compagno è stato arrestato - prosegue Kaili - sono entrata nel suo ufficio. Ho guardato tra le sue cose per capire perché fosse stato arrestato". Kaili trova la valigia, così come un pc e un telefono. "Allora ho chiamato mio padre, che era con la bambina. Gli ho chiesto di venire a prendere la valigia. (…) È una valigia per Panzeri che mio marito teneva in casa. (…) Sapevo che mio padre avrebbe raggiunto mia figlia perché nella valigia che aveva preso avevo messo dei biberon. Ho aperto la valigia. Ho anche aperto la cassaforte. So che (Francesco Giorgi, ndr) stava custodendo qualcosa per il suo vecchio capo, Antonio Panzeri, e forse anche per l’attuale capo, Andrea Cozzolino". La "cricca" - prosegue Repubblica - lavorava così. Infiltrando, secondo il parere degli inquirenti, proprio i comitati o le commissioni dell’Europarlamento. "Svolgiamo la nostra ricerca — si legge in uno dei documenti allegati dai magistrati belgi ai mandati di cattura dei primi cinque indagati e datato 12 settembre — sulla base delle Commissioni di cui fanno parte le persone interessate dal fascicolo". Questo metodo di lavoro da parte dei magistrati del Belgio apre scenari inquietanti su quanto fosse estesa la rete dei rapporti.

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