Quando anche Re Giorgio fece più di un'ora di anticamera col cappello in mano
La via crucis di Napolitano, per farsi eleggere presidente della Repubblica, passò anche da Bologna...
La morte di Giorgio Napolitano, un uomo di potere pieno di contraddizioni
Giorgio Napolitano era uno stratega politico o un uomo di partito astuto nel farsi concavo o convesso a seconda delle necessità? Difficile condividerne le idee, almeno per me, ma l’architettura mentale di uomo che mastica potere come respira, traspariva da ogni mossa, nel solo modo di guardarti, di incedere, di attendere, di prendere la parola con uno sconosciuto, in quell’italiano colto ma fatto di distingui e secondarie che emergeva anche in un banale scambio di opinioni. Ed è quello che mi è successo nella primavera del 2006.
Erano giorni convulsi per me in veste di assessore, entravo e uscivo dall'ufficio del sindaco di Bologna del tempo, Sergio Cofferati, per confrontarmi sulla scoperta che avevo fatto delle assegnazioni illegittime di case popolari eseguite per decenni dallo stesso Comune. In una mattina particolarmente frenetica mi ritrovai a varcare quella soglia almeno tre volte in un’ora (un record assoluto per il tempo, vista l’abissale distanza che Cofferati metteva tra sé e i propri “collaboratori”) e ogni volta vedevo sempre un anziano signore in loden blu scuro, col cappello in mano ad aspettare nell’anticamera. Inizialmente non lo riconobbi e mi dispiacque vedere una persona di una certa età stare lì a rosolarsi avanti e indietro in attesa di un cenno. Poi guardandolo meglio riconobbi il profilo: era Giorgio Napolitano, all’epoca ottantunenne.
Era forse già un‘ora che aspettava, così mi avvicinai e lo salutai. Non mi arrischiai a chiedergli i motivi della visita ma parlammo del più e del meno per una quindicina di minuti. In quel momento il suo nome non circolava sui giornali e quindi poteva avvantaggiarsi del silenzio mediatico per costruire le sue relazioni dietro le quinte, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica. Nella mia testa i motivi della visita sembravano ovvi, vista la scadenza imminente. E lui aveva il curriculum giusto. Napolitano era passato da Cofferati per chiederne l’appoggio. In fondo avevano fatto parte nel PCI della stessa corrente, i Miglioristi, e il sindaco di Bologna era ancora quello dei 3 milioni di manifestanti della Cgil in piazza (o presunti tali) contro il governo Berlusconi. All’epoca la sua influenza mediatica aveva la forza di spostare l’opinione pubblica dentro i DS (oggi PD) e anche di pezzi della sinistra più radicale.
Provai in qualche modo a fare gli onori di casa e a proporgli di prendere un caffè alla buvette ma ringraziandomi, con gli occhi fissi sulla porta del sindaco, non accolse l’invito. Mi colpì quel suo registro verbale, un po' formale, bizantino, che utilizzò per restituirmi la cortesia dell’attenzione, chiedendomi che aria si respirasse a Bologna da quando c’era la nuova giunta. Uno scambio breve e cortese in cui ho percepito la sua inquietudine per un incontro che poteva risolversi anche in modo negativo, perfino per un politico di apparato abile come lui. Ma mentre parlavamo in piedi, lui sempre col suo cappellone nero in mano, sicuramente avvertito del mio affondo sull’ospite, uscì Cofferati che mise fine alla mia temeraria presenza e si avviarono nelle sue stanze. La mia intrusione fuori programma non era prevista nelle strategie di logoramento di Cofferati ma senza saperlo ha accorciato l’anticamera al futuro presidente.
Qualcuno della segreteria mi confidò poi che non c’avevo visto male sui motivi della visita. Da lì a poco Napolitano sarebbe diventato presidente della Repubblica e infine Re Giorgio. Ieri sera è morto e come ogni persona che lascia questa terra deve seguire il cordoglio di chi gli ha voluto bene. Ma resta la figura storica di un uomo pieno di contraddizioni.
Ex fascista, come lo si può essere a diciassette anni, iscritto nel 1942 ai Gruppi universitari fascisti (GUF), quando il regime mostrava il suo volto più crudele con la guerra e le leggi razziali del ‘38, poco dopo diventa comunista sovietico tra i più ortodossi. Sono storia le sue parole d’appoggio all’invasione sovietica dell’Ungheria, errore grave riconosciuto molti anni dopo, una volta diventato Capo di Stato. O come dimenticare le parole di Bettino Craxi che durante Tangentopoli lo accusava di sapere tutto sul finanziamento illecito ai partiti, compreso il suo PCI quasi mai sfiorato dalle indagini.
O il suo filo atlantismo sempre acritico, sempre allineato ai desiderata del governo americano di turno, venuto fuori in modo cruento nella stagione della destabilizzazione del nord-Africa durante le cosiddette Primavere Arabe.
Su Napolitano darà un giudizio la storia, io lo ricorderò sempre con quel “cappello in mano” che tanto mi sorprese da un uomo di potere come lui.