S&P: non chiamiamola promozione, ma la Meloni non finirà come Berlusconi

Il rating italiano non cambia ma le previsioni sono pessime

di Marco Scotti
Politica

S&P, non chiamiamola promozione, ma la Meloni non finirà come Berlusconi

Nel giorno più buio dal punto di vista personale, Giorgia Meloni ottiene una piccola rivincita personale. Se S&P avesse deciso di far scattare la mannaia sui conti dell’Italia, probabilmente oggi parleremmo di un’altra storia: una premier all’angolo, aggredita dai mercati e dalla finanza che ne chiedevano la testa, indebolita dalle intemerate (tristissime, per altro) di un Andrea Giambruno in preda al delirio di onnipotenza. Invece, messe da parte le vicende private – e a questo punto appare evidente che la Meloni fosse informata da tempo degli audio “rubati” dell’ex compagno – la premier riesce a tenere il punto.

Finita qui? Neanche per sogno. Standard & Poor’s, nella scelta di non affossare ulteriormente il nostro Paese, ha comunque sottolineato che le previsioni di crescita per il 2023 e il 2024 sono peggiorate “per via dell’aumento dei risparmi del settore privato, dell’inasprimento delle condizioni creditizie, del rallentamento della produzione e dell’indebolimento del commercio globale". Insomma, c’è poco da stare allegri. La spesa per interessi sul debito arriverà alla mostruosa cifra del 4,2%: sono circa 80 miliardi all’anno che finiscono nel calderone dei titoli di stato, più di tre volte l’attuale manovra.

Non basta. S&P promuove il Pnrr asserendo che dal 2025 porterà la crescita nuovamente sopra l’1%. Ma bisogna saperlo usare e spendere. Ha ragione la Meloni quando dice che le scelte sono state fatte da altri che l’hanno preceduta. Ma dopo un anno esatto di governo non ci sono più scuse: il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza è interamente “made in Meloni” e ora deve essere attuato a tutti i costi, pena una figuraccia epocale e un rischio di ritrovarsi l’anno prossimo con una pagella di S&P assai più deficitaria.

Basta anche con gli scherzi sulle privatizzazioni: annunciare urbi et orbi che si è pronti a vendere un pezzo consistente del patrimonio (20 miliardi non sono certo bruscolini) senza definire immediatamente il perimetro delle cessioni può diventare un autogol, oltre che terreno di scontro tra le forze del governo. Forza Italia parla di vendere la gestione dei porti turistici, la Lega punta su Ferrovie, Fratelli d’Italia per ora sfoglia la margherita. Il tempo è finito. La premier è sul trono da 364 giorni oggi e domani (auguri) compirà il suo primo anno.

La Meloni non farà la fine di Berlusconi, che nel 2011 venne travolto dal combinato disposto tra la sua vita privata (il caso Ruby) e uno spread a 570, tra i risolini di Sarkozy e Merkel e l’ombra lunga di Mario Monti che iniziava a stagliarsi all’orizzonte. Oggi è tutto diverso, per fortuna, e la premier ha la possibilità di lavorare bene. Ma le notazioni di S&P e Piazza Affari che è stata la peggiore in Europa nell’ultima settimana sono due segnali d’allarme da non sottovalutare. Incrociamo le dita…

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