Ue, FdI: nessuna alleanza con gli amici di Salvini. La linea Meloni. Inside

Centrodestra a pezzi in Europa. Affaritaliani.it svela la posizione di Fratelli d'Italia

Di Alberto Maggi
Meloni Salvini Tajani
Politica

Il grande progetto di ribaltare la maggioranza Ursula per costruirne una che guarda a destra rischia di rimanere al palo per mancanza di numeri

 

Centrodestra in ebollizione in vista delle elezioni europee. Manca ancora un anno all’appuntamento del 2024 eppure le contraddizioni nella maggioranza di governo sembrano già esplose.  Salvini dice che "non accetta veti" sui suoi alleati. Tajani dice "mai al governo con Le Pen e Afd".

Da Fratelli d’Italia si fa professione di cautela e pragmatismo. Le poche dichiarazioni pubbliche dei maggiorenti meloniani, sia europei che nazionali, sono improntate alla prudenza e a non volersi intromettere nelle schermaglie tra gli alleati litigiosi. Ripetono il mantra del “modello Meloni”, quello di un centrodestra di governo da esportare anche in Europa, con la Lega dentro ma con gli ingombrati alleati leghisti del gruppo Id fuori. O meglio: fuori sicuramente l’ultradestra tedesca di AfD, che ha il vento in poppa nei sondaggi ma rimane impresentabile a Bruxelles.

Fuori probabilmente anche il Rassemblement National di Marine Le Pen, anche se il Capodelegazione di Fdi a Strasburgo, Carlo Fidanza, ha assicurato di recente di non voler “fare liste dei buoni e dei cattivi”, memore di quando per decenni nessuno voleva parlare con la destra missina. Ma è chiaro a tutti, nei corridoi di Bruxelles, che il Ppe - potenziale alleato di Meloni - non potrebbe mai accettare i lepenisti.



Insomma, a forza di “tu sì, tu no”, il grande progetto di ribaltare la maggioranza Ursula per costruirne una che guarda a destra rischia di rimanere al palo per mancanza di numeri. FdI tira dritto: obiettivo principale massimizzare l’effetto Meloni, far crescere il più possibile il gruppo ECR, mantenere i ponti con i Popolari e poi - a elezioni fatte - fare di conto sui seggi mancanti e, soltanto allora, aprire interlocuzioni a destra come al centro. Un piano complicato, ambizioso ma tutto sommato secondario rispetto all’obiettivo primario: evitare che la normale competizione proporzionale tra i partiti di maggioranza crei ostacoli alla tranquilla navigazione del governo Meloni. 

Per questa ragione l’appello salviniano a firmare una sorta di “patto anti-inciucio” di meloniana memoria ma in chiave europea, è stato accolto con freddezza e sarcasmo dai meloniani (“proprio lui che ha governato con i grillini e con Draghi e il Pd”) ma alla fine è stato lasciato cadere. 

In fondo, a Palazzo Chigi sanno perfettamente che il movimentismo salviniano di questi giorni ha anche ragioni e risvolti interni, con una Lega che da un lato può tentare di recuperare a FdI elettori euroscettici ma dall’altro rischia di confinarsi ancora all’irrilevanza, con buona pace delle mire entriste della pattuglia ministeriale, dei governatori e di gran parte degli europarlamentari uscenti. Senza contare che tra un anno il centrodestra esprimerà il proprio Commissario europeo e - ragionano i colonnelli di lungo corso - non si è mai visto una maggioranza di governo votare contro il proprio commissario. Saranno pure “schermaglie fisiologiche” ma la sensazione è che, da qui al giugno 2024, ne vedremo delle belle.

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