La malattia che ha colpito Bruce Willis: tutti i sintomi da tenere d'occhio
Demenza frontotemporale, intervista al neurologo Giancarlo Logroscino
Ad accendere i fari sui progressi della ricerca scientifica sulla Demenza frontotemporale sono state le dichiarazioni della famiglia dell'attore amaricano, Bruce Willis: "Il nemico di Bruce non si chiama più afasia, ma demenza frontotemporale (o FTD). Una notizia dolorosa, ma un sollievo per avere finalmente una diagnosi chiara. Oggi non ci sono cure per la malattia, una realtà che speriamo possa cambiare negli anni a venire".
"Con l'avanzare delle condizioni di Bruce - avevano auspicato in casa Willis - speriamo che l'attenzione dei ‘media’ possa essere focalizzata sul far luce su questa malattia, che necessita di molta più consapevolezza e di intensa ricerca".
E proprio sulla demenza frontotemporale si sono concentrati studi e risultati dell’indagine epidemiologica condotta dal consorzio FRONTIERS, in 13 centri europei di eccellenza nella ricerca neurologica, che sono stati presentati a Tricase (Le), alla presenza di 25 scienziati provenienti da tutta Europa, durante il workshop internazionale promosso dal Centro per le Malattie Neurodegenerative e l’Invecchiamento Cerebrale dell’Università di Bari e dell’Ospedale “G. Panico” di Tricase - diretto dal professor Giancarlo Logroscino - in collaborazione con TecnoMED Puglia e Università degli Studi di Brescia.
Affaritaliani.it - Puglia ha incontrato il prof. Logroscino a margine del workshop internazionale tenutosi a Tricase (Le) in Salento.
Professor Logroscino, la demenza frontotemporale è una malattia “rara, ma non troppo”, almeno da quanto è emerso in questo Convegno dedicato all’attività in corso, che coinvolge anche il Centro di Ricerca eccellente che lei coordina.
Sì, è così. la FTD è una malattia rara, ma non rara come ipotizzato in precedenza. Per lungo tempo essa è stata considerata una variante della malattia di Alzheimer o come manifestazione di instabilità psichiatrica.
Lo studio evidenzia che la FTD può colpire anche in età avanzata con una percentuale considerevole di casi (circa il 30%) e non interessa solo il periodo presenile come si pensava in passato. Colpendo l’intero spettro dell’età adulta, infatti, questa malattia ha un impatto estremamente importante sui sistemi di gestione della salute e del welfare. La sua incidenza annuale in Europa è pari a 2,4 casi per 100.000 persone, con un picco ai 71 anni di età e con un’incidenza maggiore tra gli uomini (2,8 casi su 100.000 persone) rispetto alle donne (1,9).
Il caso Bruce Willis ha contribuito ad accentuare le attenzioni su qualcosa di ancora poco conosciuto. Quali i sintomi da non trascurare?
Le diagnosi fino ad oggi hanno sempre fatto focus su due fronti: il linguaggio ed i comportamenti. Forme anche leggere di dislessia o amnesia nel filo del discorso, così come manifestazioni anche solo accennate di aggressività o di atti sociali bizzarri, lette spesso come segnali a rischio ospedale psichiatrico.
Grazie allo studio condotto oggi sappiamo molto di più sulla frequenza e sulle caratteristiche cliniche di una patologia che, si stima, conterà ogni anno circa 12.000 nuovi casi in Europa, con importanti ricadute sociali ed economiche. Per cui, possiamo avviare una nuova fase del progetto, centrata sul supporto tecnologico e su una ‘expertise’ clinica adeguata: cose che qui a Tricase pratichiamo già da tempo.
A che punto è la ricerca farmacologica?
I processi su questo fronte richiedono applicazione e investimenti. Questa è una malattia che al momento si gestisce, per la cura bisognerà attendere ed essere perseveranti. C’è un’azienda californiana che produce un farmaco capace di ristabilire i livelli di una proteina, che incide nella mutazione genetica.
Nel frattempo, come per tutte le malattie neurodegenerative, le terapie sono affidate alle tecniche di logopedia, agli interventi a livello psicologico e alla dislessia farmacologica sperimentale. I soli antidoti, oggigiorno, per far fronte all’ampio spettro di condizioni cliniche eterogenee, caratterizzate da disfunzioni sociali ed esecutive, alterazioni della personalità, compromissione del linguaggio e deficit delle funzioni motorie.
La novità inquietante è che la malattia colpisce i cosiddetti “giovani adulti” ovvero le fasce di età 40-65 anni. Professor Logroscino, la luce in fondo al tunnel c’è: vero?
Sì, una delle difficoltà per la corretta anamnesi è proprio la manifestazione dei sintomi, che possono rivelarsi anche 25 anni dopo il “primo attacco”.
Lo studio presentato a Tricase è molto affidabile: l’analisi dei dati clinici e biologici ha riguardato 267 casi di demenza frontotemporale diagnosticati, tra il 1° giugno 2018 e il 31 maggio 2019, osservando una popolazione complessiva di circa 11 milioni di persone di nove paesi europei.
Ci conforta che la fase prospettica dello studio epidemiologico determinerà - attraverso la raccolta di nuovi dati clinici genetici e biologici - la migliore comprensione dei meccanismi patogenetici della demenza frontotemporale e le sperimentazioni innovative, in corso nei centri della rete FRONTIERS, possano cambiare lo scenario su diagnosi e cura della patologia, analogamente a quanto sta accadendo per altre malattie neurodegenerative.
(gelormini@gmail.com)