Allevamenti intensivi e sostenibilità ambientale: “Tutto quello che il ministro Lollobrigida ignora”
L'economista indignato. Per il ministro dell'agricoltura i super allevamenti salvano i prezzi. Un po' di certezze e le verità scientifiche
Lollobrigida
Il Ministro dell'Agricoltura italiano, Francesco Lollobrigida, ha recentemente espresso il suo punto di vista sugli allevamenti intensivi durante il Meeting di Rimini. Secondo Lollobrigida, gli allevamenti italiani sono tra i più sostenibili al mondo e il benessere animale è tenuto in alta considerazione nel nostro Paese. Ciò nonostante, quando si parla della differenza tra allevamento intensivo ed estensivo “si deve chiedere al cittadino se è disponibile a pagare il prodotto più di 10-20 volte di quanto lo paga ora”.
Più in particolare, Lollobrigida ha anche criticato quella che considera un'eccessiva enfasi sulla sostenibilità ambientale, sostenendo che gli allevamenti intensivi – una pratica agricola che mira a massimizzare la produzione di carne, latte e uova attraverso la coltura di un gran numero di animali in spazi ridotti – contribuiscono solo in minima parte alle emissioni globali.
Alcune considerazioni si rendono opportune
Il Ministro mette in evidenza un punto importante: l'Italia ha effettivamente standard elevati per quanto riguarda il benessere animale e la sostenibilità degli allevamenti, soprattutto se confrontati con quelli di altri paesi. La sua preoccupazione per i costi aggiuntivi è valida, dato che migliorare ulteriormente le pratiche di allevamento potrebbe portare a un aumento dei prezzi per i consumatori, rendendo i prodotti italiani meno competitivi sul mercato internazionale e spingendo verso l'importazione di prodotti da paesi con standard inferiori, come la onnipresente Cina.
Non basta pensare solo a breve termine
Tuttavia, la visione di Lollobrigida troppo orientata al breve termine, trascura le implicazioni a lungo termine dell'attuale modello di allevamento intensivo. Anche se gli standard italiani sono tra i migliori, gli allevamenti intensivi, mentre rispondono a una crescente domanda globale di prodotti di origine animale, hanno, purtroppo, un impatto ambientale significativo (sic).
Il peso ambientale degli allevamenti intensivi: cosa dice la Fao
Gli allevamenti intensivi sono una delle principali fonti di emissioni di metano, un gas serra molto potente, prodotto principalmente durante la digestione del bestiame. Il settore zootecnico è responsabile di circa il 14,5% delle emissioni globali di gas serra, contribuendo al cambiamento climatico”. Il Ministro, probabilmente, non è al corrente che la FAO nel rapporto intitolato «Tackling Climate Change Through Livestock» (pubblicato nel 2023) evidenzia che l'intera filiera zootecnica (dalla produzione di mangimi alla gestione del letame, fino alla lavorazione e trasporto dei prodotti animali) contribuisce in modo significativo alle emissioni di gas serra, principalmente sotto forma di metano, ossido di azoto e anidride carbonica. Altri studi e rapporti che confermano questi dati includono ricerche condotte dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e altre organizzazioni scientifiche, le quali analizzano l'impatto ambientale della produzione alimentare su scala globale evidenziando l'importanza di affrontare le emissioni legate alla zootecnia come parte degli sforzi globali per combattere il cambiamento climatico.
Divorano acqua e cereali
Gli allevamenti intensivi richiedono enormi quantità di acqua e cibo per sostenere un numero elevato di animali. Gran parte dei cereali prodotti a livello globale è destinata a nutrire il bestiame; il che aumenta la domanda di terreni agricoli e contribuisce alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Il ministro, anche in questo caso, probabilmente non è a conoscenza che sempre la FAO nei rapporti «Livestock's Long Shadow» prima e «The State of Food and Agriculture» evidenzia come il settore zootecnico sia responsabile del 70% di tutte le terre agricole utilizzate e che occupi il 30% della superficie terrestre globale. Gran parte di questa terra è destinata alla coltivazione di mangimi, come soia e mais, per nutrire il bestiame e l'espansione della produzione di mangimi sta contribuendo alla deforestazione, in particolare in regioni come l'Amazzonia. Inoltre, secondo i dati della Water Footprint Network, la produzione di carne richiede enormi quantità di acqua. Ad esempio, la produzione di un chilogrammo di carne bovina può richiedere fino a 15.000 litri d'acqua, principalmente a causa dell'acqua necessaria per coltivare i cereali utilizzati come mangime. Ulteriori autorevoli studi confermano che la produzione di carne, in particolare di carne bovina, è altamente intensiva in termini di risorse idriche. Tali fonti scientifiche concordano nel rilevare che ridurre il consumo di carne o passare a modelli di produzione più sostenibili potrebbe alleviare significativamente la pressione sulle risorse idriche globali.
Le deiezioni possono contaminare le falde
Il grande volume di deiezioni animali prodotto negli allevamenti intensivi può contaminare le riserve idriche locali, riversando nutrienti come azoto e fosforo nei corsi d'acqua. L’Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti evidenzia nei suoi rapporti che le operazioni di allevamento intensivo possono portare alla contaminazione delle acque sotterranee e superficiali a causa del rilascio dei citati nutrienti e che essi possono provocare la crescita eccessiva di alghe nei corsi d'acqua, un fenomeno noto come eutrofizzazione, che riduce l'ossigeno disponibile per la vita acquatica.
E per concludere rilasciano ammoniaca
Infine, gli allevamenti intensivi rilasciano anche ammoniaca, un composto che può contribuire alla formazione di particolato fine nell'atmosfera, dannoso per la salute umana e per l'ambiente. Anche in questo caso la FAO, l’European Environment Agency (EEA), la World Health Organization (WHO), l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) evidenziano nei loro rapporti come l'ammoniaca proveniente dagli allevamenti possa contribuire alla formazione di particolato fine, che è associato a malattie respiratorie e cardiovascolari. Il particolato fine è considerato uno degli inquinanti atmosferici più pericolosi per la salute umana.
La soluzione è bilanciare la produzione con la sostenibilità
In conclusione, l'agricoltura intensiva, pur avendo il vantaggio di soddisfare rapidamente la domanda di prodotti animali a costi relativamente bassi, presenta sfide ambientali e sociali significative. Credo che sia necessario un bilanciamento tra la produzione agricola e la sostenibilità ambientale. Le pratiche agricole dovrebbero evolversi verso modelli più sostenibili, come l'allevamento estensivo o biologico, che rispettano il benessere animale e riducono l'impatto ecologico. Politiche agricole mirate e una maggiore consapevolezza dei consumatori potrebbero contribuire a orientare il settore verso una produzione più rispettosa dell'ambiente, limitando i danni a lungo termine che gli allevamenti intensivi possono causare.
L'aumento dei prezzi non deve scoraggiare nuovo modelli
Minimizzare questi effetti potrebbe ignorare la necessità di una transizione verso modelli agricoli più sostenibili, come quelli proposti dalle organizzazioni ambientaliste. L'insistenza sui costi può sembrare giustificata, ma potrebbe anche scoraggiare gli sforzi per innovare e migliorare le pratiche agricole verso una maggiore sostenibilità.
Un invito alla prudenza nelle dichiarazioni del ministro
Suggerirei, quindi, al ministro un invito alla prudenza nel comunicare alcune opinioni facendo presente che un momento di maggior riflessione, talvolta, può prevenire criticità che possono nascere da parole affrettate o mal scelte.
Alberto Frau è professore di Economia e gestione aziendale - Revisore legale e analista indipendente - Scrittore e saggista. Ricercatore universitario nell'Università di Roma "Foro Italico" è altresì professore a contratto in differenti master post laurea presso la Luiss Business School.