“L'Italia è una Repubblica fondata sulla democrazia dello sciopero: è un Paese bloccato con danni incalcolabili”
L'economista indignato. Il professor Alberto Frau avvia una riflessione sulla reiterazione degli scioperi: “E' un uso distorto”. E prospetta le soluzioni
L’articolo 1 della Costituzione italiana dichiara solennemente che l'Italia è una "Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Un principio che non solo rappresenta il pilastro della nostra democrazia, ma incarna anche la promessa di dignità e realizzazione personale per ogni cittadino. Eppure, a oltre settant’anni dalla sua promulgazione, questo fondamento appare sempre più eroso da una realtà fatta di conflitti endemici, immobilismo sociale e paralisi economica.
L'Italia di oggi sembra aver tradito questa visione, trasformandosi in una Repubblica "fondata sullo sciopero". Con una frequenza e una sistematicità quasi rituali, gli scioperi — soprattutto nel settore pubblico e nei servizi essenziali — bloccano il Paese, causando danni incalcolabili non solo all'economia, ma anche al tessuto sociale e al rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni.
Lo sciopero: diritto costituzionale o abuso reiterato?
Lo sciopero, tutelato dall’articolo 40 della Costituzione, è uno strumento di lotta sociale legittimo e necessario in ogni democrazia. Tuttavia, quando diventa un mezzo abusato e sistematicamente utilizzato, si svuota del suo significato originario. Negli ultimi decenni, in Italia, abbiamo assistito a un’escalation di scioperi nei settori nevralgici: trasporti, sanità, scuola e pubblica amministrazione.
È sufficiente aprire un quotidiano o accendere la televisione per imbattersi nell’annuncio di un nuovo sciopero che lascia pendolari bloccati nelle stazioni, pazienti in lista d’attesa per interventi urgenti o genitori costretti a riorganizzare le proprie vite a causa della chiusura delle scuole. Mentre le categorie che scioperano rivendicano sacrosanti diritti, il prezzo di queste agitazioni è pagato quasi interamente dalla collettività.
Il ricorso alla protesta è spesso "una scelta muscolare"
Il problema non è lo sciopero in sé, ma l’uso distorto che se ne fa. In alcuni casi, sembra che il ricorso alla protesta sia la scorciatoia preferita per evitare un confronto serio e costruttivo ai tavoli delle trattative. In altri, si tratta di manifestazioni di potere delle sigle sindacali, che mostrano muscoli non per difendere i lavoratori, ma per mantenere un ruolo centrale in un sistema corporativista ormai vetusto.
Le conseguenze economiche e sociali: un costo insostenibile
Ogni sciopero ha un costo diretto e indiretto. Stime recenti sottolineano quanto il fenomeno soprattutto nel settore dei trasporti pubblici incida negativamente sull'economia italiana, con danni significativi in termini di produttività e costi per la collettività. Nel 2023, si sono registrati ben 1.129 scioperi, la maggior parte dei quali (oltre l'80%) a livello locale, causati da condizioni lavorative difficili, carenza di personale e rivendicazioni salariali. Tra questi, il trasporto pubblico locale è stato il settore più colpito, con 245 scioperi rispetto ai 193 dell'anno precedente, causando disagi in numerose città italiane. Più in particolare, l’esempio emblematico dei costi sociali ed economici degli scioperi che riguarda il settore del trasporto pubblico locale registra spesso adesioni superiori al 50% e, in alcuni casi, punte fino al 98%. Tali interruzioni si traducono non solo in disagio per milioni di pendolari, ma anche in un impatto negativo sulla produttività nazionale, stimato in milioni di euro al giorno. A ciò si aggiungono i costi legati al rallentamento del sistema logistico e alla mancata erogazione di servizi essenziali, come è stato evidenziato durante uno sciopero generale nel luglio 2024 che ha paralizzato le principali città italiane.
Le vertenze sindcali diventano disservizi per la collettività
Questi numeri sottolineano un paradosso: il diritto di sciopero, garantito dalla Costituzione, sembra diventare una costante più che un'eccezione, trasformando l’Italia in un Paese in cui le vertenze sindacali si traducono regolarmente in disservizi generalizzati, con ripercussioni che vanno ben oltre il singolo settore interessato.
Le conseguenze sociali sono altrettanto devastanti. La reiterazione degli scioperi alimenta una percezione di sfiducia generalizzata nei confronti delle istituzioni. I cittadini, esasperati, finiscono per rassegnarsi a un’idea di Stato inefficiente e inaffidabile. In questo contesto, il principio costituzionale del lavoro come diritto e dovere perde ogni valore pratico, sostituito dall’idea di una società frammentata e conflittuale.
Le responsabilità della politica e dei sindacati
La politica italiana ha gravi responsabilità in questa deriva. L’incapacità di avviare riforme strutturali nei settori chiave del lavoro e dei servizi pubblici ha lasciato spazio a un sistema in cui gli interessi particolari prevalgono su quelli generali. I sindacati, dal canto loro, sembrano ancorati a logiche di contrapposizione tipiche del Novecento, incapaci di adattarsi alle sfide di un mondo del lavoro che è profondamente cambiato.
Cosa accade in Europa
In paesi come la Germania o i Paesi Bassi, i conflitti tra lavoratori e datori di lavoro vengono gestiti attraverso il dialogo e la concertazione. In Italia, invece, prevale ancora la cultura dello scontro, che porta a scioperi preventivi anche quando le trattative sono appena iniziate.
La necessità di un cambio di paradigma
Se l’Italia vuole davvero onorare il principio della Repubblica fondata sul lavoro, deve intraprendere un profondo cambiamento culturale. Questo significa:
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Limitare gli abusi dello sciopero con l’introduzione di regolamenti più stringenti per prevenire l’eccessivo ricorso alle proteste nei settori strategici, garantendo al contempo il diritto di sciopero;
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Riformare i sindacati, spingendoli verso un modello più moderno, orientato al dialogo e alla collaborazione, piuttosto che alla contrapposizione o addirittura come qualcuno ha dichiarato “allo scontro sociale” (sic);
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Investire nel lavoro e nella produttività dando vita a un sistema che valorizzi il merito, premi l’impegno e assicuri opportunità di crescita per tutti, riducendo al minimo le disparità e i conflitti;
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Rafforzare le istituzioni dando ai cittadini la sensazione che lo Stato è dalla loro parte, migliorando l’efficienza e la trasparenza della pubblica amministrazione.
Conclusioni
L’Italia non può continuare ad essere una Repubblica "fondata sullo sciopero". È tempo di tornare alla centralità del lavoro come valore, diritto e responsabilità. Un lavoro che non si limiti a essere una voce in Costituzione, ma che si traduca in una reale opportunità di crescita per ogni cittadino e per l’intero Paese.
Il cambiamento non sarà facile, ma è necessario. E soprattutto, è possibile. Sta alla politica, ai sindacati e a ciascuno di noi fare la propria parte per riportare il lavoro al centro della nostra società, dove è sempre stato promesso e dove deve tornare a essere il cuore pulsante della nostra Repubblica.
Alberto Frau è professore di Economia e gestione aziendale - Revisore legale e analista indipendente - Scrittore e saggista. Ricercatore universitario nell'Università di Roma "Foro Italico" è altresì professore a contratto in differenti master post laurea presso la Luiss Business School.
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