Il debito si annulla se il Fisco non prova le sue pretese

Fisco e Dintorni

Il comma 5 bis dell’art.7 del D Lgs. n. 546/1992 tra vecchi e nuovi paradigmi: l’introduzione dell’onere della prova in capo all’Amministrazione finanziaria nel processo tributario. Analisi delle prime sentenze sul punto.

 

La Legge n.130 del 31 agosto 2022, con l’aggiunta del comma 5 bis all’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992, ha introdotto rilevanti novità sul riparto dell’onere della prova in materia tributaria.

In particolare, il novellato articolo sancisce che “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, IN MODO CIRCOSTANZIATO E PUNTUALE, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive sui cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni”.

La portata del nuovo comma è di notevole importanza in quanto si dirama in una duplice accezione: da un lato, infatti, è previsto un maggiore rigore in capo all’Amministrazione sulla prova da fornire in giudizio, dall’altro induce il giudice a valutare con particolare attenzione gli elementi su cui la stessa si fonda, giungendo fino ad annullare il debito del contribuente qualora la prova non risulti idonea a dimostrare le “ragioni oggettive” della pretesa.

Dall’entrata in vigore dell’articolo si sono susseguite una serie di recenti sentenze che in maniera estremamente chiara e puntuale affermano, apertis verbis, quanto stabilito dalla norma.

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna Sezione 4, infatti, con la sentenza n.499/2023 si è così espressa: «… spettava all’Agenzia indicare in modo circostanziato e puntuale le presunzioni gravi, precise e concordanti … Con riguardo all’onere della prova, va rilevato che si rende applicabile l’art. 7 comma 5 bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, introdotto con l’art. 6 della L.130/22 … Questa disposizione è in grado di fugare gli eventuali residui dubbi in ordine al concreto riparto dell’onere della prova e alla fondatezza o meno della pretesa dell’Ufficio nel caso in esame” .

Segue la sentenza n.2005/2023 con la quale, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado della Lombardia, Sez. 3, ha stabilito che Detto onere probatorio a carico dell'Ufficio, oltre ad essere ad oggi previsto dal nuovo comma dell'art. 7, doveva da subito essere osservato dall'ente impositore, fosse anche per evitare il sussistere di quella "probatio diabolica", tradizionalmente posta a carico dei contribuenti.

Ancora la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado della Lombardia, Sez. 5, con la sentenza n.2380/2023 afferma che “l'Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare in modo puntuale e circonstanziato la propria pretesa erariale e indicare precisamente le ragioni oggettive alla base della pretesa erariale e della fondatezza dell'atto emesso. In mancanza di tale dimostrazione, l'atto impositivo deve essere annullato” (sentenza disponibile su www.studiolegalesances.it – sez. Documenti).

Infine, si segnala la pronuncia della Corte tributaria di secondo grado della Lombardia, che con la sentenza n.2706/2023 ha sancito che il nuovo articolo, avendo natura processuale, si applica anche ai procedimenti pendenti prima dell’entrata in vigore dello stesso e sulla base di questo ha annullato un avviso di accertamento Imu, in quanto il Comune non aveva prodotto in giudizio valide prove a sostegno della pretesa tributaria.

Una simile interpretazione, in palese favore del contribuente, non fa altro che ribadire un principio di diritto, ossia che l’onere della prova grava in capo a colui che invoca un fatto a sostegno della propria tesi, principio che si sarebbe dovuto pacificamente applicare anche in passato nel processo tributario, in ossequio ai principi costituzionalmente garantiti del giusto processo.

Si può notare, dunque, come si assista alla tendenza che mira ad eliminare le disparità di trattamento in giudizio tra il Fisco e il contribuente, ponendo, nei confronti dell’ente impositore, l’onere di provare le violazioni che contesta, in un’ottica di garanzia e irrinunciabilità del contraddittorio.

Ci si sposta, dunque, verso una maggiore tutela del contribuente non più chiamato a difendersi dalle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, ma a confrontarsi in contraddittorio con la stessa, sulla base di prove che ora devono essere circostanziate e puntuali, scardinando così il sistema fino ad oggi utilizzato, sistema gravemente lesivo e insidioso per il contribuente.

È evidente, alla luce di quanto esposto, che si è ancora molto lontani dalla piena applicazione della parità delle parti processuali nei giudizi che coinvolgono Fisco e contribuente, eppure l’introduzione dell’art.7 comma 5 bis si staglia come punto di partenza e di speranza per una radicale riforma del processo tributario.

 

Dott.ssa Giulia Frisenda

Avv. Matteo Sances

www.centrostudisances.it

 

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