Tutti contro Novak Djokovic: perché il tennista serbo è il cattivo perfetto

Disposto il fermo per il tennista, al quale l'Australia ha cancellato il visto. Un punto di vista alternativo sulla vicenda che tanto fa discutere

L'opinione di Biagio Carrano
Sport
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Nole come Cacciari e Agamben? Un caso mediatico davvero curioso


Novak Djokovic è il più recente villain del racconto biosecuritario che da due anni i media italiani propinano al paese. Il tennista serbo, al di là degli errori e delle omissioni nella documentazione presentata per entrare in Australia, è diventato così la pecora nera, il personaggio arrogante da biasimare e da esporre al pubblico odio dei media sociali, il ricco privilegiato che non vuole sottomettersi alle regole che da due anni affaticano la vita di centinaia di milioni di persone: insomma il capro espiatorio su cui scaricare la frustrazione collettiva, così che ne vengano esentati coloro che quelle regole le hanno introdotte e che si ostinano a portarle avanti nonostante tanti principi e tanti assunti (a partire dalla garanzia di immunità garantita dal vaccino) siano stati smentiti negli ultimi mesi.

Ma c’è chi ha deciso che questo racconto, indebolito dalle sue tante incoerenze, non debba essere oggetto di riflessione e analisi razionale, ma vieppiù sostenuto da una adesione  emotiva, che trova la sua forza nel compattare l’opinione pubblica contro coloro, cittadini comuni o grandi intellettuali o atleti di rango mondiale, che mettono in discussione se non i fondamenti di questo racconto, di certo le conseguenze, spesso illogiche, antiscientifiche e autoritarie, che si sono andate sviluppandosi in questi due anni. 

Così anche Djokovic, un personaggio tutt’altro che negazionista, che ha donato un milione di euro nella primavera del 2020 all’ospedale di Treviglio per far fronte all’emergenza e che semplicemente ritiene che un vaccino che dà un’immunità parziale e limitata nel tempo sia inutile se non dannoso per un fisico giovane e supercurato come il suo, si è ritrovato a subire il trattamento già somministrato indistintamente tanto ai negazionisti con la terza media come a Giorgio Agamben e Massimo Cacciari

 

La posizione dei vari giornali su Novak Djokovic

 

Ha iniziato il Corriere della Sera: “C’è una strana magia che circonda Novak Djokovic”, l’incipit del primo articolo della querelle apparso il 6 gennaio a firma di Andrea Sereni, secondo il quale questo strambo giovane serbo che vive in un “cerchio magico” deve per forza avere qualche rotella fuori posto. Sereni parte evidenziando l’inimmaginabile adorazione che i genitori hanno per il figlio, il tennista più vincente della storia; e stupisce che un giornalista che vive in un paese di mammoni e di genitori iperprotettivi ne resti tanto sconcertato. Dopo aver raccontato delle uscite, anche scomposte, di un padre che deve tutto al figlio e che tutto ha fatto per lui, compresi debiti e sacrifici incomprensibili in Italia, in anni quando a Belgrado si viveva con stipendi da 3 marchi tedeschi al mese e il giorno dopo l’incasso quello stipendio era carta straccia, l’ineffabile Sereni non manca di dedicare un passaggio alla moglie di Djokovic, laureata alla razionalissima Bocconi ma che avrebbe postato un video su Covid-19 e 5G successivamente cancellato (e dunque, disconosciuto e non verificabile).

La chiusura del pezzo vorrebbe evidenziare ancora una volta le stranezze del personaggio: pensate che Djokovic, invece di svegliarsi frustrato e incazzato, tranguggiare di fretta un caffé e uscire trafelato per andare al lavoro come tutti gli italiani normali, è “un uomo particolare” perché “La sua routine quotidiana inizia con un saluto al sole che sorge, una sessione di abbracci, canto e yoga. Con un rapporto di connessione col mondo vegetale, come un albero di fichi con cui diceva di avere una relazione intima: «Mi piace scalarlo e sentirmici in contatto». Parole che farebbero la felicità del professore Stefano Mancuso, il quale, meno di un mese fa, dichiarava, proprio sul Corriere che lo presentava “tra i maggiori studiosi di botanica “«Le piante sono intelligenti, io rivolgo loro frasi d’amore”. Ma tant’è. Questa volta al primo quotidiano italiano anche questo afflato di Djokovic verso il mondo vegetale fa comodo al fine di presentare il campione serbo come poco meno che uno spostato.

Di per sé l’articolo di Sereni poteva essere un pezzo occasionale, un esercizio di stile del classico redattore per confermare il vecchio aneddoto in cui il caporedattore chiede al giovane giornalista di scrivere un pezzo su San Francesco d’Assisi e il giovane ambizioso risponde: “A favore o contro?”. Ma l’insistenza e il livello delle firme con cui il Corriere è tornato sull’argomento indica qualcosa di pianificato. Insomma, si tratta di costruire il paria della giornata, l’originale da irridere, il deviante da biasimare, il superstizioso da rieducare, l’incosciente da criticare, l’ignorante da additare, il cattivo esempio da neutralizzare, ma anche l’incosciente che mette a repentaglio la salute pubblica, l’arrogante che si crede al di sopra del buon senso comune, il privilegiato contro cui scatenare le persone comuni e far così guadagnare alla testata un bel po’ di like da parte di un po’ di odiatori telematici con l’apparato neuromotorio concentrato nel proprio pollice. 

E invece, in un escalation che indica una chiara scelta redazionale, il 9 gennaio intervene anche un altro editorialista d’assalto (ai non conformisti) del Corriere, Aldo Cazzullo, il quale scrive che “la ferocia del serbo attinge dallo stesso pozzo buio da cui vengono le follie antiscientifiche, le pallate al giudice di linea, la tigna no-Vax” e non poteva mancare l’accenno all’identità slava e il colpo basso perché “dietro l’orgoglio della patria serba, dell’appartenenza slava, dell’irriducibilità del battitore libero, ci sia uno dei tanti furbacchioni che portano la residenza fiscale a Montecarlo per non pagare le tasse” certo, come gli italiani Berrettini, Sinner, Musetti, l’austriaco Zverev, il russo Medvedev, il greco Tsitsipras

Di fronte a tali operazioni è difficile negare che esista una regia mediatica indirizzata a denigrare coloro che mettono in discussione la gestione dell’emergenza pandemica, l’efficacia dei provvedimenti adottati, gli abusi che molti governi stanno mettendo in atto nell’eterna dialettica tra volontà di controllo da parte dei poteri e istanze di libertà degli individui. A fronte di attacchi tanto violenti e orchestrati, si potrebbe pensare a una qualche insopportabilità di un personaggio fin troppo vincente. Al contrario, gli attacchi a Djokovic sono invece cresciuti in maniera abnorme rispetto alla vicenda, allargando le critiche al popolo serbo e al loro inestirpabile nazionalismo. E così, a ruota del Corriere e a conferma di quello che a chi scrive sembra un indirizzo coordinato, è arrivato l’8 gennaio Michele Serra, l’aedo della sinistra più conformista che riformista, che su Repubblica definisce “penosa avventura” le vicissitudini in Austrialia di Djokovic, “una parodia involontaria del nazionalismo slavo” (e te pareva?) e chiude affermando che trattasi di “buffonaggine (…) questa levata di scudi “patriottica” in un pezzo di terra nel quale a causa delle Piccole Patrie, dei nazionalismi (tutti) e dell’uso bellicoso della religione, si è consumata, appena trent’anni fa, un’atroce guerra etnica. Niente insegna mai niente a nessuno, che tristezza”.

E così basta il ricordo monodirezionale delle stragi incrociate tra serbi ortodossi, croati cattolici e bosgnacchi mussulmani per stendere un velo di infamia su un giovane serbo di successo. Ora, cosa c’entra uno sportivo di certo legatissimo al suo paese e impegnato in innumerevoli iniziative di solidarietà e aiuto internazionale con il famigerato Zeljko Raznatovic, detto Arkan, il boia della guerra in Bosnia arricchitosi deprendando le famiglie mussulmane e i depositi di carbone della Serbia? Chiedetelo a Massimo Nava, già corrispondente dai Balcani in guerra, il quale nel commento “Covid, Djokovic si ricordi di Arkan” del 9 gennaio chiama in ballo il criminale di guerra serbo, ucciso nel 2000, quando Djokovic aveva 13 anni. Nava rinfaccia a Djokovic oggettive simpatie nazionaliste e ai leader politici serbi di essersi schierati con il loro concittadino: in effetti la logica di Nava pretendeva che i politici serbi invitassero i giudici australiani a rinchiudere sine die Djokovic, l’uomo più amato del loro paese, nel centro per richiedenti asilo dove ora si trova privato della libertà. Immaginiamo ora che in una situazione simile si fosse trovato Berrettini, che per essere arrivato in finale a Winbledon (persa proprio contro Djokovic) è stato accolto come un eroe nazionale da Mattarella: dubbi sulle proteste il mondo politico italiano avanzerebbe, a partire da SalviniMeloni, per richiedere l’immediato rilascio del tennista romano con residenza a Montecarlo?

[continua nella prossima pagina]

Perché al tennista serbo non si perdona nulla?

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Nava accusa Djokovic di aver “confuso il ruolo di gloria nazionale con un malinteso e pericoloso patriottismo”. A parte che Nava nemmeno coglie cosa ha rappresentato per l’autostima dei serbi l’avvento della stella di Djokovic quindici anni fa, quando il paese era frustrato dalla povertà e dalle guerre perse e con un immagine internazionale simile a quella di un paria, l’esimio commentatore del Corriere dei poteri forti non sa che Djokovic interviene nella politica del suo paese, piaccia o meno, in maniera del tutto fuori dagli schemi politici: dagli appelli contro l’indipendenza del Kosovo in cui si trova a fianco dell’attuale governo di destra, alla recente posizione contro la realizzazione di una enorme miniera di litio da parte dell’australiana Rio Tinto, invece avallata dall’attuale governo. 

Questo resta un punto poco esplorato in Italia, che incrocia il fallimento delle politiche biosecuritarie del governo australiano, il pasticcio della federazione tennistica australiana in merito ai pass per partecipare agli Open e le enormi proteste popolari contro gli investimenti in Serbia dell’australiana Rio Tinto. Ma questi aspetti geopolitici interessano poco ai media italiani, che si fermano a un usuale “trattamento” di delegitimazione del no-vax Djokovic, somministrato già ad altri che hanno osato mettere in discussione l’idea che vi sia un’unica modalità per affrontare la pandemia. 

Arriviamo così alla notizia di oggi, l’annullamento del visto a Djokovic a seguito della decisione del ministro dell’immigrazione australiano Alex Hawke “per motivi di salute e buon ordine a tutela dell’ordine pubblico”. Chiaro che le vicissitudini del primo tennista al mondo vanno al di là dei capricci di una star mondiale e pongono alcuni quesiti: perché una persona in perfetta salute e con comprovata assenza di virus Sars-Cov2 dovrebbe rappresentare un rischio sanitario? Perché aver assunto un vaccino che oggi immunizza parzialmente per circa quattro mesi e non evita di essere contagiosi dovrebbe comportare maggiori diritti rispetto a chi preferisce o può pemettersi un tampone ogni 48 ore? Perché i no-vax e tutti coloro che esercitano legittimi dubbi sulla curvatura illiberale di tanti provvedimenti vengono additati come nemici della salute pubblica dai media e giornalisti mainstream e dati in pasto sui media sociali al conformismo dell’odio?

Quante scorie resteranno nella società dopo che si deciderà che la diffusione del virus non è un’emergenza paralizzante, ma una malattia oramai endemica da gestire (come sta facendo la Spagna) ed emergeranno gli abusi che la politica, le case farmaceutiche e i media hanno perpetrato ai danni del tessuto civile ed economico e della reputazione di migliaia di persone solo in Italia? Si tratta di domande che dovremmo iniziare a porci, anche per velocizzare l’uscita dall’emergenza biosecuritaria. 

Nel caso di Djokovic la sua generosità e simpatia non bastano a fargli perdonare i momenti di nervosisismo in campo che condivide con quasi tutti i suoi colleghi di uno sport che comporta maratone fisiche e mentali pesantissime: perché al tennista serbo non si perdona nulla? Ma così rischieremmo di scivolare nel vittimismo di cui accusano i serbi chi li accusa. Da parte nostra avanziamo un’interpretazione, che invece non intende solleticare lo sciovinismo dei serbi: se Nadal e Federer sono il Messi e il Cristiano Ronaldo del tennis contemporaneo (libero ognuno di attribuire ai due l’una o l’altra similitudine), Djokovic con il suo anticonformismo è una specie di Maradona salutista del tennis, un talento che non si limita a giocare, guadagnare e fare beneficienza, ma si espone socialmente e politicamente, e, a torto o a ragione, non deflette dal presentare e promuovere cause e principi lontani dall’ordinario. 

Proprio per questo Djokovic è odiato e al contempo ammirato per la sua capacità di uscire dalle convenzioni, di denunciare argomenti che opportunismo, ignoranza e quieto vivere la gran parte degli sportivi nemmeno sfiora. Un tale personaggio potrebbe mai essere apprezzato in una fase in cui bisogna accettare senza discussioni i provvedimenti e le decisioni dei governi?