Coronavirus
Quanti sono i casi Covid? "Bassetti sbaglia sul conteggio dei positivi"
Intervista di Affari a Edgardo Valerio: "Bisogna essere seri: cambiare i parametri in corsa non ha senso, se prima non cambia la strategia"
Intervista a Edgardo Valerio: "Siamo vicini al picco, non si possono cambiare adesso i parametri. La Lombardia? Era da zona gialla già prima di Natale"
Ma quanti sono gli attuali positivi, mentre andiamo verso il picco di diffusione di Omicron? La domanda non è di certo retorica, viste le discussioni in corso sui migliori criteri da adottare per quantificare il numero reale di pazienti di Covid. Mentre diverse regioni rischiano il passaggio in zona arancione o rossa, Matteo Bassetti propone di non conteggiare gli asintomatici o chi va in ospedale per un altro motivo, ma poi scopre di essere positivo. "Questa modalità di gestione del Covid deve cambiare. Non dobbiamo continuare a contare come malati di Covid quelli che vengono ricoverati per un braccio rotto e risultano positivi al tampone. Bisogna anche finirla col report serale, che non dice nulla e non serve a nulla se non mettere l'ansia alle persone, siamo rimasti gli unici a fare il report giornaliero", ha detto a Radio Cusano Campus, per poi aggiungere ad Agi che “nei nostri reparti siamo ben oltre il 35% di ricoverati che con il Covid non c'entrano nulla. Non hanno della malattia nessun sintomo, ma solo la positività al tampone per l'ingresso in ospedale. Dirò di più: questo avviene anche nella registrazione dei decessi, se il paziente entra in ospedale per tutt'altro, ma è positivo e muore, viene automaticamente registrato sul modulo come decesso Covid. Sono numeri assolutamente falsati". Ma è davvero il caso di cambiare in corsa i parametri di conteggio dei malati? Affari Italiani lo ha chiesto a Edgardo Valerio, medico igienista noto per aver diretto il Dipartimento di Prevenzione presso ASL Milano 1, che sui numeri ufficiali ha sempre avuto molti dubbi.
Qual è la sua opinione sulla proposta di Bassetti?
“Non si gioca con i numeri. Bassetti è spesso troppo perentorio nelle sue esternazioni e a volte esagera con l’ottimismo e altre con il pessimismo. Però il problema e sarebbe il caso di affrontarlo. Ma seriamente”.
Cosa non la convince di questa proposta?
“Io ho sempre sostenuto che i numeri della pandemia non andassero diffusi giorno per giorno e oltretutto senza parametri di riferimento rispetto alla popolazione, cosa che non fa capire perché in una regione la situazione è peggio che in altre. Però se hai tenuto questi parametri per due anni, cambiarli proprio ora, quando diverse regioni che potrebbero andare in zona arancione o rossa, rischia di far pensare alla popolazione che si voglia manipolare il dato. Oltretutto è evidente c’è una sottostima notevole dei casi, anche perché Omicron è praticamente un altro virus, rispetto alle varianti precedenti”.
Perché i numeri ufficiali sarebbero inferiori alla realtà?
“Intanto perché il campione dei positivi può non essere rappresentativo della popolazione generale, per molti motivi. Poi molte persone non fanno il tampone, altre lo fanno a casa e non comunicano l’eventuale positività, mentre nei tamponi antigenici c’è una significativa percentuale di errore, sia come falsi negativi (circa il 40%) che falsi positivi. Si può certamente pensare a un modo per raccogliere i dati in modo migliore, ma se parliamo dei ricoverati in ospedale e del carico che esso comporta, il problema richiede un’analisi più fine”.
Ci aiuti a farla…
“E’ un problema organizzativo. Se dei pazienti di altro tipo poi risultano anche positivi al Covid, bisogna spostarli dal loro reparto e metterli in quello dedicato. Questo provoca degli sbilanciamenti e quindi la proposta di Bassetti un senso ce l’ha. Però se si cambia bisogna essere conseguenti e quindi questi pazienti, pur positivi, restano nei reparti in cui erano prima e vengono curati con delle precauzioni specifiche per non contagiare gli altri degenti e i sanitari. Precauzioni che però vanno approntate e rese efficaci. È un problema molto delicato, da affrontare con cautela e con la massima chiarezza sui numeri e su quello che rappresentano. Nella comunicazione, la credibilità è la cosa più importante e nella vicenda-Covid temo che ce la siamo già giocata in gran parte. Anche solo dare l’impressione di voler cambiare la raccolta dei dati per ammorbidire i provvedimenti sarebbe un guaio. Il problema esiste, ma per risolverlo bisognerebbe appunto trattare nei reparti normali le persone positive, ma senza segni della malattia. Ci vorrebbe una enorme riorganizzazione, ma forse sarebbe il caso di farla, se vogliamo davvero entrare nella logica della fase endemica”.
È giusto escludere gli asintomatici dal conteggio dei positivi?
“No: per definizione internazionale, chi è positivo ha il Covid. Poi possiamo distinguere tra sintomatico e asintomatico, ma questo già lo fa l’Istituto Superiore della Sanità, anche a livello statistico. Se parliamo di impegno dei servizi sanitari, allora se ne può discutere. Se invece pensiamo che chi non è sintomatico possa essere considerato sano, non ha senso. Sono comunque casi da mettere in isolamento. A meno che non si prenda una decisione epocale…”.
Quale sarebbe?
“Se decidi che ormai siamo alla fase endemica, ti occupi solo di chi manifesta i sintomi della malattia e per gli altri non fai più nulla, ovvero lasci circolare il virus. Ma non è ancora il momento per una scelta del genere”.
Affari Italiani ha riportato come il rimborso per i pazienti in semplice “transito” in terapia intensiva sia stato aumentato da 3.000 a 10.000 euro: questo può avere inciso sul numero dei casi considerati tali?
“Beh, questo può essere stato un bias, soprattutto sui casi borderline, ma comunque il costo effettivo di ogni posto in terapia intensiva è certamente molto alto”.
Adesso però, con la diffusione di Omicron, i casi sono talmente tanti che sui dati si deve prendere la direzione inversa?
“Però dobbiamo dire che quello delle terapie intensive è il dato che cresce di meno. Dai dati pare che Omicron provochi pochi ricoveri tra i vaccinati e molti tra i non-vaccinati. Questi ultimi sono il 10% della popolazione, ma rappresentano il 50% dei ricoveri in ospedale e il 75% di quelli in terapia intensiva. La curva generale sta calando, prima di Natale abbiamo avuto un raddoppio, mentre ora siamo sul 30%. Ci stiamo avvicinando al picco e si può prevedere un ulteriore raddoppio entro due/tre settimane, il ché significherà andare in zona rossa, per il SSN andrà vicino al tilt. Bisognava pensarci prima, anticipando il Super Green Pass, mentre la Lombardia sarebbe dovuta entrare in zona gialla prima di Natale, anche per dare un segnale psicologico alla popolazione. Invece cambiare i sistemi di misurazione in corsa è sbagliato, altrimenti sembra di assistere al ‘Così è si va pare’ di Pirandello!”.
Però anche lei diceva che, per passare alla logica dell’endemia, qualcosa va cambiato…
“Sì, possiamo per esempio valutare che questi casi asintomatici ‘pesino’ di meno e quindi trattarli in modo diverso, ma bisogna appunto pensare a un sistema diverso di trattamento, non solo di conteggio, altrimenti non ha senso”.
Bisogna quindi cambiare strategia di gestione, come ad esempio Sanchez invoca in Spagna?
“Per me è ancora troppo presto. Bisognerà aspettare almeno ancora altri 15 giorni, anche perché ci sono altre varianti in arrivo”.
Ci mancava solo questa! Di cosa si tratta?
“E’ ancora da vedere. Nuove varianti nascono ogni giorno, ma solo poche sopravvivono. Molte non sono significative, alcune spariscono perché sono troppo deboli e altre invece perché sono troppo aggressive nei confronti dell’ospite, che deve rimanere in vita per diffondere il contagio. In questi due anni ce ne sono state centinaia, ma solo quattro hanno lasciato il segno: Alfa, Beta, Delta e Omicron”.
Quindi ora dobbiamo “fare il tifo” per la Omicron, perché con lei possiamo sperare di passare alla fase endemica?
“Sì, perché ha cambiato nettamente l’epidemiologia. E’ dieci volte più contagiosa della precedente, ma anche molto meno cattiva nei confronti dei pazienti. Per i vaccinati, è quasi sempre come un’influenza. Quindi, sì: è il momento di pensare a nuove strategie, ma cambiare solamente il modo di contare i casi non ha senso”.