Attualità

Il Rigoletto/ Senza paura, vincere il tumore con la medicina della persona

Che cosa si scatena dentro di noi dopo una diagnosi di malattia oncologica? Quali strumenti mettono in campo il nostro corpo e la nostra mente per contrastare la malattia? Quali relazioni si stabiliscono con chi ci cura e con chi ci sta vicino? Come si affrontano interventi chirurgici e terapie? Come sarà la vita dopo questo lungo, doloroso percorso?

Umberto Veronesi e Gabriella Pravettoni, che da anni – ognuno per le proprie specifiche competenze – si prendono cura di persone ammalate di tumore, provano a dare risposta a queste domande con un approccio assolutamente innovativo: la medicina della persona, che supera il concetto tradizionale di cura del corpo e dà spazio alla persona nella sua totalità (corpo e mente). Capiremo che le risposte non sono univoche perché diverse tra loro sono le persone che le pongono, ma anche che, nel baratro in cui ci precipita la malattia, ciascuno di noi può contare su impensabili risorse personali e numerosi alleati con cui combattere la sua battaglia: medici, psicologi, terapeuti, operatori, pronti ad affiancarci nel difficile percorso e capaci di mettere in atto per noi i progressi straordinari della ricerca scientifica. Scopriremo che la malattia può e deve essere vissuta come un’occasione di cambiamento: di stili di vita, di attitudini mentali, di visione del futuro, di senso stesso della vita. E che dopo tanta sofferenza potremmo ritrovarci a essere persone più forti e consapevoli.

Gli Autori:

Umberto Veronesi ha dedicato la vita all’esplorazione di nuovi sentieri di ricerca per migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da tumore. Inventore della chirurgia conservativa per i tumori della mammella, della biopsia del linfonodo sentinella e della radioterapia intraoperatoria, è stato ministro della Sanità nel 2000 e 2001 e senatore nella XVI Legislatura. Autore di oltre ottocento pubblicazioni scientifiche e dodici trattati oncologici, ha ricevuto quattordici lauree honoris causa e prestigiosi riconoscimenti internazionali. Ha diretto l’Istituto Nazionale Tumori di Milano per oltre trent’anni; nel 1992 ha fondato, sempre a Milano, l’Istituto Europeo di Oncologia, di cui è stato direttore scientifico fino al 2014 e oggi è direttore scientifico emerito. Nel 2003 ha creato la Fondazione Umberto Veronesi di cui è presidente, per promuovere la cultura scientifica e sostenere la ricerca. Devolvo i miei proventi derivanti da questo libro alla Fondazione Veronesi perché possa continuare nelle sue attività di divulgazione e sostegno alla ricerca scientifica e dare un futuro ai molti pazienti che ancora oggi lottano contro il tumore. A loro dedico questo libro - Umberto Veronesi

Gabriella Pravettoni è professore ordinario di Psicologia delle Decisioni del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia (DIPO) dell’Università degli Studi di Milano, direttrice della Divisione di Psicologia dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e coordinatrice del Dottorato FOLSATEC (Foundations of the Life sciences, bioethics and cognitive sciences) presso SEMM (Scuola Europea di Medicina Molecolare) a Milano. È Visiting Professor del King’s College di Londra dove collabora sul Medical Decision Making al Guy’s Hospital di Londra. Fa parte del board scientifico di Ecancer – United Kingdom.

La Premessa

Senza paura

Un titolo che parla del coraggio che sappiamo dimostrare quando siamo chiamati a compiere imprese eroiche, in pratica tutte le situazioni inattese, complesse, apparentemente impossibili che, invece, scopriamo essere in grado di superare.

Ci vuole coraggio per affrontare una malattia oncologica, eppure è ormai un'impresa possibile. Dalla nostra parte, oltre ai risultati straordinari raggiunti dalla ricerca scientifica che ci garantiscono sempre più spesso la guarigione al 100%, anche una riserva di energie inespresse di cui tutti siamo dotati che ci rendono, in qualche modo, ciascuno il suo, eroi tutti i giorni.

Un'alleata importante, capace di darci coraggio giorno dopo giorno, ha un nome che deriva dal linguaggio tecnico: si chiama resilienza. Grazie alla resilienza riusciamo ad adattarci alle nuove condizioni di vita dettate dalla malattia e a uscirne vincitori, qualsiasi sia la prognosi.

La medicina della persona, che supera l'approccio tradizionale preoccupato soprattutto del corpo malato, propone una visione olistica che ci aiuta a mettere in luce il nostro potere sulla malattia: quando c'è bisogno, e questa è una certezza, possiamo sempre contare sulle nostre risorse migliori e modellarci sulla vita che cambia, senza farci sopraffare dalla malattia.

Siamo pronti a qualsiasi sfida, anche quella terribile della patologia oncologica: al nostro fianco, in questa impresa di cui siamo i primi eroi, ci sono medici, terapeuti, operatori e tutte le persone che hanno voglia di seguirci.

La vita, grazie alla medicina della persona che ci invita a reagire con coraggio e superare le nostre paure, è più forte della malattia.

Capire questo è il primo passo verso la vittoria.

"Oggi sono felice?"
Una domanda difficile. Quante persone potrebbero rispondere di sì adesso?
E quante, invece, ammetterebbero di non riflettere mai sulla felicità?
Forse perché i momenti felici si vivono e basta, senza averne nemmeno consapevolezza. Forse perché la felicità si apprezza quando, in qualche modo, ne siamo privati.

Una condizione simile vale per la salute: ne percepiamo il valore se, improvvisamente, ci viene a mancare.
La salute è felicità, ordine, capacità. Esprime al massimo l'autodeterminazione, equivale a "io posso".
La malattia, invece, è infelicità, disordine, incapacità. Si traduce in dipendenza, diventa negazione: in pratica "io non posso".

Il nostro corpo è dotato di ogni mezzo per prevenire o resistere a tutti gli attacchi esterni in modo da difendere e preservare l'equilibrio.

Ha costruito dighe altissime e muri resistenti, ha scavato profonde trincee a questo scopo: la pelle, la mucosa, il sistema connettivo, il sistema immunitario, anticorpi di ogni tipo. Fino a quando è possibile, perché non è pensabile passare tutta la vita in difesa: siamo fatti per durare sino ad aver procreato, sino al trasferimento dei geni alla generazione successiva per mantenere viva la nostra specie.

Con la malattia il disordine irrompe nella nostra vita, alterando tutti gli equilibri, fuori e dentro di noi.
Con la malattia il corpo, solitamente silenzioso, fa sentire la sua voce e ci costringe a riflettere sulla nostra esistenza, sull'immagine che ci siamo fatti di noi e che si sono fatti gli altri finché abbiamo goduto di buona salute. Dobbiamo rimettere in discussione tutto ciò che è stato, prendere le misure del tempo, considerare un "prima", un "durante" e, possibilmente, un "dopo" la malattia.

In salute, come negli stati di felicità, non esiste il senso del limite: la limitatezza umana è sinonimo di fragilità, incertezza, debolezza. Non possiamo permetterci d'interrompere il flusso di una vita che viaggia, spesso, a una velocità eccessiva, che non ci consente di guardare i contorni delle cose e soffermarci sui nostri bisogni più autentici e su quelli di chi vive al nostro fianco.

Perché tutta questa fretta? Verso quali mete? Con quali obiettivi? Corriamo per dimenticare la paura del limite che il corpo ci ricorda nel momento in cui interrompe il suo silenzio. Negli stati d'infelicità, e in quelli di malattia, ci accorgiamo che abbiamo un corpo, strumento indispensabile di conoscenza di noi stessi e degli altri. Il corpo rappresenta il nostro confine, ci colloca nello spazio, ci separa e ci unisce ogni giorno della nostra vita: eppure Io percepiamo come tale solo nel momento in cui i medici sono chiamati a ripristinare l'ordine sconvolto, a riportare
tutto in ordine, proprio come un tempo.

La salute, come la felicità, è armonia, non solo tra le componenti del nostro organismo ma anche tra il corpo e la mente. Si tratta di una concezione che risale alla cultura greca: nella Repubblica, Platone descrive la vera rettitudine del cittadino della comunità ideale identificandola con la salute, che rappresenta l'armonia nella quale tutto si accorda. Ed è compito del medico occuparsi di ricreare l'armonia tra corpo e mente.
La mente gioca un ruolo determinante nella malattia, la cui forza dirompente ha un impatto diverso in base a come la affronta chi ne è colpito. Una stessa malattia può essere considerata leggera, grave o gravissima perché vissuta come tale. Per questo è difficile per il medico curare una patologia se non studia e comprende l'influenza che questa esercita nello stato d'animo della persona ammalata. Già Platone considerava un errore che ci fosse chi curava il corpo e chi l'anima, mentre, in realtà, anima e corpo non possono essere separati.

Platone parla dell'anima in senso socratico (la psiche), intendendo quindi il nostro carattere, la personalità, le nostre emozioni e, soprattutto, il nostro pensiero. Per questo possiamo dire che il grande filosofo greco invita i medici a occuparsi di ristabilire il benessere del corpo tenendo conto di quello della mente.

La medicina della persona nasce con questi presupposti: deve essere anche medicina dell'anima senza mai perdere la sua scientificità. Essere considerati "persona" quando ci si ammala significa non essere più solo un malato, un paziente, un corpo da curare, ma ciò che è "fuori e dentro" il corpo: una persona, infatti, è molto di più, un essere dotato di coscienza di sé e in possesso di una propria identità. Una delle etimologie del sostantivo "persona" è "per sé unica", a sottolineare la nostra individualità: siamo nati per essere unici, anche il nostro modo di vivere e superare una malattia sarà unico. La medicina della persona ha compreso e si è orientata nella giusta direzione.

Quando il corpo ritorna in stato di quiete, quando la salute rifiorisce, insieme alla felicità, cosa è accaduto in noi?
Se non siamo per nulla cambiati, abbiamo perso l'occasione di stabilire nuovi equilibri, di creare una felicità più consapevole, di comprendere cos'è davvero importante per noi. Allora il corpo ha parlato a vuoto, senza scoprire se esiste un significato altro da dare alla vita, per tutta la sua restante durata. Non superare la malattia, non darle un senso vitale, anche se sembra quasi un paradosso, significa perdere la possibilità che il corpo ci ha dato di
essere diversi da ciò che siamo.

Una riflessione che merita di essere fatta oggi, in salute e in malattia.