L'avvocato del cuore
Assegno di mantenimento, stop con una nuova relazione, convivenza o partner
Da tempo la giurisprudenza si è espressa in modo uniforme, eccezion fatta per qualche isolata pronuncia, sugli effetti che sortisce la nuova relazione affettiva del coniuge (già separato) nonché del quasi ex coniuge (prossimo al divorzio) o, infine, dell’ex coniuge (già divorziato) sul diritto di percepire gli assegni di mantenimento e divorzile.
La Cassazione, le Corti di Appello e i Tribunali hanno sentenziato che i titolari dell’assegno di mantenimento o divorzile perdono il diritto a percepirlo “in presenza di un nuovo legame, stabile e duraturo”. In altre e più semplici parole, chi è separato o divorziato e ha un nuovo partner perde l’assegno di cui è già intestatario; se, invece, i ricorsi per separazione o divorzio sono stati appena introdotti, le domande giudiziali di aiuto economico, svolte nei confronti del coniuge o quasi ex coniuge, non hanno la possibilità di essere accolte dal giudice della famiglia perché l’istante, ora, può fare affidamento sul contributo del nuovo partner. Resta da capire quando una relazione affettiva sia qualificata da “stabilità e durevolezza”.
Basta coltivare con regolarità e ufficialità da un paio d’anni il nuovo partner per perdere il beneficio dell’assegno? O due anni di vita affettiva insieme e “alla luce del sole” sono pochi e, di riflesso, il beneficio economico dell’assegno è “al sicuro”? Lo scorso 20 ottobre 2020 la VI° Sezione della Cassazione ha pubblicato una sentenza che è stata ripresa dalle maggiori testate giornalistiche: i giudici della legittimità hanno affrontato, un'altra volta, il tema della convivenza more uxorio, ma, invero, a parere di chi scrive, non hanno affatto chiarito i presupposti della sua rilevanza giuridica.
Letti l’iter argomentativo e il PQM della sentenza, i dubbi restano identici a quelli antecedenti alla lettura:
◊ la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha riformato la decisione del giudice del primo grado e ha stabilito che il diritto all’assegno divorzile, nel caso di specie, non potesse considerarsi escluso dalla costituzione di una “famiglia di fatto” perché la “continuità e stabilità” della relazione affettiva coltivata dall’ex coniuge beneficiario dell’assegno erano - al più – espressione del “primo stadio necessario, ma nemmeno sufficiente, per ipotizzare la creazione della nuova famiglia di fatto".
◊ La Cassazione ha censurato il ragionamento della Corte d’Appello perché viziato da contraddittorietà: pur avendo ritenuto provata “la continuità e la stabilità della nuova relazione sentimentale” coltivata dall’ex coniuge percettore dell’assegno divorzile, l’ha considerata, allo stesso tempo, inconferente. E perché? L’interpretazione autentica della Cassazione a Sezioni Unite è decisamente urgente: quanto sopra non solo non contribuisce a fare chiarezza, ma, semmai, perpetua la cosiddetta incertezza del diritto, nel senso deteriore della locuzione.
La giurisprudenza ha certamente chiarito che il legame affettivo rilevante - ai fini dell’esclusione del diritto a percepire l’assegno di mantenimento e/o divorzile - prescinde sia dall’elemento della coabitazione (si può essere una “coppia di fatto” anche senza vivere sotto lo stesso tetto: a sostegno di questo argomento, si rinvia all’articolo 1 della Legge n. 76 del 2016), sia dal fatto che il nuovo partner permetta al beneficiario dell’assegno (e, a fortiori, al “potenziale” beneficiario che si accinga a chiederlo al giudice della separazione o del divorzio) di godere di un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio.
Non ha rilevanza, invece, l’eventuale interruzione del rapporto affettivo da parte della nuova coppia: sul punto, ha sancito la Cassazione, con una pronuncia del 2018, che “la revoca del diritto all’assegno è irreversibile”. Di conseguenza – chiosa il giudice della legittimità- il richiedente non può pretendere che l’assegno venga ristabilito o riconosciuto, giusta l’eventuale cessazione della relazione affettiva perché “ciò che rileva non è il (possibile) miglioramento delle condizioni economiche derivante dalla costituzione di una famiglia di fatto, bensì la mera costituzione della stessa”. Quindi: se il coniuge o l’ex coniuge - titolari dell’assegno - eccepissero al giudice: “io non ho più alcun legame affettivo”, questa circostanza sarebbe ininfluente. Vale a dire, tamquam non esset.
Infatti, la formazione di una famiglia di fatto rileva in re ipsa ed è considerata una giusta causa di esclusione – irreversibile - del dovere di mantenimento. Le ragioni sono spiegate dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza del 14 maggio 2020 ove è valorizzato il principio di autoresponsabilità: “la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi e agli effetti dell’articolo 2 della Costituzione – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo di ogni obbligo”.
Contrasta con la coscienza sociale pretendere dal coniuge - o ex coniuge - l’assegno di mantenimento o divorzile quando si è costituita una nuova famiglia di fatto con un’altra persona. È anche inaccettabile che, nel caso di separazione, l’assegno ex art. 156 c.c. possa “evolvere”, domani, in assegno divorzile. Nonché il diritto alla pensione di reversibilità a carico della collettività dei cittadini, e ciò qualora l’obbligato, percettore di pensione, premuoia al beneficiario dell’assegno. Si tratterebbe, in ciascuno di questi tre casi, di ingiusta locupletazione di una rendita parassitaria.
*Studio legale Bernardini de Pace