L'avvocato del cuore
Embrioni crioconservati, ok a impianto in utero anche se l’ex marito si oppone
Ha suscitato scalpore la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del 27 gennaio 2021, con la quale è stata riconosciuta a una donna la possibilità di scongelare e impiantare nel proprio utero gli embrioni precedentemente crioconservati in accordo con il marito.
Ciò che ha spinto molti a criticare questa decisione giudiziale, è la circostanza che - in seguito alla crioconservazione di un paio d’anni prima circa – fosse intervenuta la separazione tra i coniugi. Quando, infatti, la donna, ormai separata, ha chiesto al Tribunale di ordinare al centro clinico di procedere con urgenza all’impianto - perché aveva raggiunto l’età di 43 anni e il progredire del tempo avrebbe ridotto la possibilità di successo della tecnica artificiale - il marito separato, costituendosi in giudizio, si è opposto.
L’uomo ha, infatti, sostenuto che non esistesse più una coppia, e questo evento avrebbe dovuto far intendere revocato il consenso in precedenza prestato alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Non è stato, però, dello stesso avviso né il giudice di prime cure, che aveva già accolto la richiesta di impianto della donna, né il Collegio del Tribunale, adito dopo il reclamo del marito.
Che la decisione abbia sollevato questioni etiche è - oserei dire - naturale, perché è, appunto, nella natura umana avere visioni del mondo e della vita differenti.
Infatti, su questa vicenda e i suoi risvolti (non solo relazionali, ma anche economici e giuridici), c’è, per esempio chi dirà che “obbligare” l’uomo a diventare genitore è una violenza verso di lui e si rischia di pregiudicarne la serenità psico-fisica; c’è, poi, chi potrebbe pensare che la donna abbia agito egoisticamente (volendo far nascere e crescere un figlio senza due genitori uniti) o con “gelosia” (volendo continuare a sentirsi “legata” all’ex grazie al nascituro, figlio di entrambi); c’è, ancora, chi potrebbe pensare che non può prevalere sempre e comunque la volontà della donna (di vita, come in questo caso, o di “morte”, pensando all’aborto) su quella dell’uomo e c’è, infine, chi penserà al bambino che nascerà: meglio nascere piuttosto che non nascere, diranno alcuni, anche se da subito con genitori divisi; altri, penseranno ai sentimenti di quel futuro bambino/adulto che scoprirà di essere nato, di fatto, per volere di alcuni giudici e contro il volere del padre biologico.
Quale dignità va tutelata? Quella dell’uomo che non vuole essere costretto a diventare padre di un figlio con la donna con la quale si è lasciato? Oppure quella della donna di diventare madre anche se il padre con il quale avrebbe il figlio non sta più con lei? O, infine, quella dell’embrione a non restare “a vita” in freezer?
La verità è che le differenze di pensiero, volontà e situazioni vanno tutelate, ma vanno anche “delimitate”, per consentire a propria volta di tutelare un altro fondamentale principio della società: l’ordine pubblico, cioè quell'insieme di principi fondamentali e leggi, etiche e politiche, che salvaguardano l'ordinamento giuridico.
Per i giudici di Santa Maria Capua Vetere, infatti, ci sono delle precise risposte giuridiche: bisogna tutelare gli interessi pubblicistici connessi alla legge n. 40 del 2004 (relativa alle tecniche di procreazione medicalmente assistita). Questi interessi coinvolgono la genesi della vita, intersecandosi con aspetti etici e sanitari: la legge tutela tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. L’embrione è certamente concepito, dunque ha il diritto a nascere. La tutela dell’aspettativa di vita dell’embrione può “indebolirsi” solo di fronte ad altre forme di tutela che in determinate situazioni devono prevalere, come la salute della donna già “in vita” (pensiamo all’aborto terapeutico).
La legge sulla PMA tutela gli aspiranti genitori garantendo loro due diritti: quello a essere informati in ogni fase e quello a revocare il consenso sino alla fecondazione; da quel momento in poi, però, il consenso congiuntamente prestato è irrevocabile e subentra la prevalenza del diritto alla vita dell’embrione (concepito e fecondato) che non potrà essere sacrificato se non, come detto, nel caso di lesioni di diritti di pari rango come la salute della donna. Basti pensare, del resto, che gli embrioni non possono essere distrutti, e si può decidere di “scongelarli” e impiantarli anche dopo decine d’anni.
In altri termini, per la legge e per i giudici, chi dice sì alla pma, da coppia pacificamente riconosciuta, e lo conferma fino alla fecondazione, è già genitore “in potenza”, status che si può concretizzare “in atto” in qualsiasi momento futuro. A nulla rileva la successiva separazione. Questo significa che, nel caso di specie, anche l’uomo assumerà a tutti gli effetti di legge la responsabilità genitoriale sul nascituro: mantenimento, educazione, istruzione. Oltre alle altre conseguenze giuridiche sul piano successorio.
Giusta o sbagliata che possa ritenersi da ciascuno di noi questa sentenza, è molto probabile che andrà a impattare, in futuro, sulle tante coppie che, dopo aver crioconservato degli embrioni, si separeranno.
*Studio legale Bernardini de Pace