Lo sguardo libero

Terzo mandato? No grazie, l'alternanza è un pilastro della democrazia

Di Ernesto Vergani

Il potere sperimentato a lungo non lascia spazio al merito e riduce la trasparenza

Il presidente Usa non può ricevere più di due incarichi di quattro anni ciascuno

Sorprende che si discuta con tanti dubbi sulla possibilità del terzo mandato per i sindaci delle grandi città e per i presidenti delle Regioni, a partire da Luca Zaia e Vincenzo De Luca, appartenenti a schieramenti opposti, seppur eletti per la seconda volta alle ultime elezioni con il 77% dei voti il primo (Lega) e quasi il 70% il secondo (Pd).

È evidente che in democrazia vale il principio dell’alternanza. Basti guardare alla sua forma più avanzata, quella statunitense, che prevede il limite dei due mandati (quattro più quattro anni) per il presidente.  Anche i 14 anni a capo dello Stato di Sergio Mattarella non sono un bel segnale - ma la colpa in questo caso è stata del Parlamento che in sette anni non è stato in grado di trovare un accordo.

Come ci ricorda Pericle - nell’Atene del V secolo è stato una volta per tutte detto tutto sulla democrazia - nelle cariche pubbliche deve essere preferito colui che si distingue non tanto per il suo partito quanto per il suo merito. Il potere vissuto a lungo genera luoghi di potere e interesse, fa male all’uomo di potere e a chi lo circonda. Non lascia spazio al merito e riduce la trasparenza in quanto ambito chiuso che gravita intorno al leader. La democrazia per estensione è l’individuo, il cittadino che delega un altro individuo a rappresentarlo in quella funzione. Così che le guide dei due schieramenti, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, si candidino alle Europee di giugno, per poi non andare al Parlamento di Strasburgo, non farebbe bene.