Coronavirus

Covid, 2020 anno della paura. 43% degli italiani a favore della pena di morte

2017: l'Italia del d'ancora, nel 2018 del sovranismo, 2019 della sfiducia, 2020 della paura. Più di 4 italiani su 10 a favore della pena di morte

Covid: l’anno della paura nera 

Nel 2017 c'era l'Italia del rancore, nonostante il Paese vivesse una fase di ripresa, con la politica che inseguiva i like; il 2018 era l'anno di un'Italia resa cattiva dal sovranismo e che aveva nel migrante il capro espiatorio; il 2019 invece l'anno di un'Italia incerta, vittima della sfiducia. E questo 2020? Per il Censis nessun dubbio nel suo 54^ Rapporto sulla situazione sociale del Paese: è l'anno della paura nera, l'anno in cui il Covid, un virus vero, sembra aver addirittura innescato una paura più generale, quella per e del futuro, costringendo gli italiani in un tunnel da cui ancora non si riesce a vedere la luce, a dispetto delle rassicurazioni che piovono ogni giorno. 

Covid: i favorevoli alla pena di morte 

In questo stato di cose incerto, un dato particolarmente impressionate è quello della pena di morte. Quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole all'introduzione nel nostro ordinamento della pena capitale per chi commette reati particolarmente abietti. La percentuale di favorevoli è ancora più alta tra i 18-34enni. “C’è un rimosso in cui pulsano risentimenti antichi e recentissimi di diversa origine, intensità, cause – si legge nel Rapporto - Non sorprende, quindi, che persino una misura assolutamente indicibile per la società italiana come la pena di morte torni nella sfera del praticabile”. 

Covid: il futuro e il cambiamento 

Adesso si tratta di procedere, e con passo avanzato. Capire però verso dove andare, e il Censis evidenzia che in realtà la società "fiuta il tempo e il cambiamento della storia, guardando oltre la pandemia, muta e prova a emanciparsi dal suo impantanamento declinante". Il velo è ormai "squarciato", le sicurezze si dissolvono, alcune contraddizioni di fondo emergono alla vista. La società conosce anche i rischi della paura e della fretta che questa impone nello smantellamento del primato individuale e settoriale e, in qualche modo, "si sente costretta a un ritorno alla dimensione sistemica dello sviluppo". Ma come e dove intervenire? Occorre - dice il Censis - una selezione degli ambiti d’intervento.

A cominciare dal sistema delle entrate: un nuovo schema fiscale, in uno scenario positivo nel quale tutti gli elementi della tassazione sono costretti a una discontinuità fino a ieri non immaginabile. La riduzione, generalizzata e indistinta, delle tasse e dei prelievi fiscali "non appare un obiettivo coerente, non almeno nel breve periodo, con la dimensione del debito pubblico e con gli impegni a sostegno del reddito e della crescita assunti dal governo".

La realtà di oggi impone di "prendere atto che il Paese si muove in condizioni a troppo alto rischio per non presupporre una nuova e sistemica azione della mano pubblica: non per riparare i guasti, ma per ripensare il Paese, per cogliere l’occasione di immaginarlo di nuovo, per non rinchiudere la nostra società in una cultura del sussidio e del respiro breve". 

Il Censis ci dice che nel timore e con cautela, il Paese "aspetta e sa di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ripensare e ricostruire a freddo i sistemi portanti dello sviluppo, che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo". E' un'Italia che "attende di sentire di nuovo, quando dopo le lacrime altro non si avrà da offrire che fatica e sudore, il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando diritti".