Costume
Pasta Made in Italy. Coldiretti, bene stop di Barilla al grano al glifosato
Svolta storica della principale industria pastaia del mondo. Una risposta alle sollecitazioni dei consumatori che chiedono garanzie di sicurezza alimentare.
“Gli agricoltori italiani sono pronti ad aumentare la produzione di grano duro in Italia dove è vietato l’uso del glifosato in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada ed in altri paesi. Ma per una giusta remunerazione del proprio lavoro”. E’ quanto afferma il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, in riferimento all’annuncio della Barilla che ha “aggiornato i parametri qualitativi per questa materia prima strategica” e chiede ai produttori di grano duro di tutti i Paesi di “non usare il glifosato prima del raccolto”. Come avviene in Canada che fino allo scorso anno era il principale fornitore straniero dell’Italia. Una scelta comunicata dal direttore degli acquisti di Barilla, Emilio Ferrari, a Toronto al Canadian Global Crops Symposium dove ha sottolineato che “al momento Barilla non ha firmato nessun contratto per l’importazione del grano dal Canada”.
In una situazione in cui un pacco di pasta su sette prodotto in Italia è fatto con grano canadese, si tratta -sottolinea la Coldiretti- di una svolta storica della principale industria pastaia del mondo che risponde alle sollecitazioni che vengono dai consumatori che chiedono garanzie di sicurezza alimentare. Un cambiamento che ha portato –ribadisce l’organismo- al prepotente ritorno dei grani nazionali antichi come il Senatore Cappelli e alla rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, da Ghigi a Valle del grano, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Felicetti, da Alce Nero a Rummo, da FdAI firmato dagli agricoltori italiani fino a Voiello, che fa capo proprio al Gruppo Barilla, senza dimenticare molte linee della grande distribuzione.
“Le importazioni di grano duro dal Canada erano crollate già nel 2017 del 39,5% in valore per un quantitativo comunque estremamente rilevate di 720 milioni di chili secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. A pesare -sostiene Moncalvo- l’entrata in vigore in Italia del decreto con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano impiegato. Ora da Barilla fanno sapere di aver investito 240 milioni in progetti che coinvolgono 5mila imprese agricole italiane che coltivano una superficie di circa 65mila ettari con un incremento del 40% dei volumi di grano duro italiano nei prossimi tre anni. E’ una buona notizia perché dimostra la capacità di un`azienda di rispondere alla preoccupazioni dei consumatori del nostro Paese che chiedono pasta fatta con il grano italiano ma anche di sostenere l’economia e l’occupazione sul territorio contro la delocalizzazione”, ha precisato Moncalvo.
L’Italia puo’ contare su un milione e 350mila ettari di coltivazioni di grano duro con un raccolto che, secondo Coldiretti- sfiora i 4 miliardi e 300 milioni di chili concentrato nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano circa il 40% del totale nazionale. Nel mondo -rileva ancora Coldiretti- l’Italia detiene il primato sulla produzione di pasta con 3,2 milioni di tonnellate all’anno davanti a Usa, Turchia, Brasile e Russia. Ma è proprio sui mercati mondiali che si avvertono i primi campanelli di allarme visto che, in controtendenza rispetto all’andamento del Made in Italy all’estero che ha superato la storica cifra di 41 miliardi di euro, si riducono invece le esportazioni italiane di pasta che nel 2017 hanno fatto segnare un preoccupante calo in valore secondo analisi Coldiretti su dati Istat.
Si tratta – sottolinea la Coldiretti – degli effetti della rapida moltiplicazione di impianti di produzione all’estero, dagli Stati Uniti al Messico, dalla Francia alla Russia, dalla Grecia alla Turchia, dalla Germania alla Svezia. Ora ci sono le condizioni per frenare i pesanti effetti della delocalizzazione che dopo aver colpito la coltivazione del grano sta interessando la trasformazione industriale con pesanti conseguenze economiche ed occupazionali. La svolta dell’industria puo’ quindi rappresentare – conclude la Coldiretti – una svolta per invertire la tendenza e valorizzare il Made in Italy dai campi alla trasformazione industriale.