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Cronache
Baby-killer, giustizia troppo docile: serve il pugno di ferro
Bullismo

Per finire (si fa per dire) al diciassettenne che avrebbe ucciso a coltellate una coetanea, nascondendo il corpo in un sacchetto del pattume e caricandolo su un carrello della spesa, abbandonato di fianco a dei cassonetti, un ragazzo già conosciuto per atti violenti e risse, ma nei cui confronti nessuno aveva preso provvedimenti. A quali e quanti altri crimini efferati si dovrà assistere, prima di decidersi a reagire in modo adeguato alle condotte criminali, ancorché perpetrate da ragazzini? Un sedicenne che è in grado di uccidere una persona a botte o a coltellate, di occultare le prove, nascondere il corpo, sviare le indagini, crearsi falsi alibi, non può essere giudicato come un minorenne, con tutti i benefici processuali (enormi) che ne derivano: ma dovrebbe essere giudicato come un maggiorenne, con tutte le conseguenze che ne derivano.

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La possibilità, per i minori, di ottenere il perdono giudiziale ed evitare il carcere anche per reati gravissimi, l’impossibilità per le vittime di costituirsi parti civili nei processi che li riguardano, i benefici e gli sconti di pena concessi con maggiore facilità e indulgenza, sono spesso interpretati non come una seconda possibilità, ma come una condizione di impunità, o quanto meno di scarsa severità anche di fronte a comportamenti ad alto tasso criminale. Così come è ormai improcrastinabile la necessità di abbassare l’età imputabile, attualmente fissata a quattordici anni. Serve un cambio di passo, che parta dal presupposto che punire un ragazzino per un reato non significa fargli del male, ma esattamente il contrario. Purché la sanzione sia afflittiva ma efficacemente rieducativa. E nessuna rieducazione si può ravvisare in una pacca sulla spalla con la promessa di non farlo più. I tragici episodi di questi giorni, infatti, ci raccontano esattamente il contrario.

*Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime 

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